Non del tutto a torto quelli che oggi parlano o scrivono in latino son da molti derisi, disprezzati, trattati con tanto sussiego, da sembrar nati per esser oggetto di lazzi e di trastulli: assai di frequente, infatti, par che persone tali non si dilettino d'altro che di parole separate dalle cose, mettendo troppo del loro tempo e della loro fatica in un'opera inutile, in giochetti puerili e in vane esercitazioni, nel suscitar continuamente insulse controversie su non so più quali sciocchezze, accesi come sono più dall'entusiasmo d'apprendere e creare in maniera singolare neologismi, coi quali possano proferir stupide ciance latine sui più recenti ritrovati, che di riprendere un colloquio con coloro che ci han preceduto, che d'ascoltar le voci d'un Pico, d'un Poliziano, d'un Valla, d'un Erasmo, d'un Gravina, d'un Giambattista Vico e di tantissimi altri, i quali ci han trasmesso opere su argomenti di somma importanza ancora oggi degnissime d'esser lette con assiduità giorno e notte. Altri invece praticano vuote esercitazioni tutta la vita, e imparano continuamente ciò che avrebbero dovuto imparare già da lungo tempo: ma non giungono mai a quella più salda dottrina, che, unita a proprietà di linguaggio, consta di cose ben concrete: "Ma non credere ch'io voglia lodare quei miseri grammatici e magistelli, che studiano tutta la vita gli scrittori latini solo per succhiarne la purissima linfa della latinità; della quale però, essendo essi privi d'ogni dottrina, non han che cosa nutrire. Costoro invero risuonan bene in latino, ma, come sonagli, strepitano senza dir nulla." Questo disse Antonio Eximeno Pujades nel 1789: e noi pure diremo addio a ciascuno di codesti personaggi, servendoci delle parole del coltissimo Jean Commire: "Non hai peso, buon uomo: c'è bisogno d'arte, colla quale tu possa dissimulare il lieve vetro di cui sei fatto. Ma squilli e emetti suoni acuti: così puoi ingannare e raggirare chi non presta vera attenzione."
D'altra parte, però, è evidente che non meno ridicoli son coloro che, deridendo tali caricature d'una vera e solida cultura, sembrano voler disprezzare insieme con loro anche tutta intera la corte degli scrittori, che ancora oggi s'adoprano per conservare, con gran dignità e con non poco sforzo, la consuetudine di scriver latino, perché quell'aurea catena, grazie alla quale siamo legati con quegli uomini egregi e straordinari che prima di noi
han vissuto in questo mondo nei secoli passati non sia del tutto spezzata, rotta e schiacciata sotto i piedi di barbari; perché non si copra di ruggine, di squallore e non sia oggetto di turpissimo disonore, e infine giunga a un irreparabile oblìo.
Van dicendo, questi buffoni, che con gran disdecoro ignorano e disprezzano quelle stesse materie che dovrebbero insegnare, che lo studio del latino e del greco si debba riservar solo a pochissimi, come se si trattasse del tocarico o dell'assiro; per gli altri sarà sufficiente servirsi d'interpreti che, come di mediatori della cultura, traducano dalle lingue antiche alle moderne qualunque cosa ancora sia degno di considerazione; e, non contenti di proibirci di parlare o scrivere, con una certa sinistra voluttà, ostacolano con barricate ai giovani qualunque strada che sembra possa condurre speditamente ai tesori degli antichi; i giovani non potranno in nessun modo accedere alle ricchezze contenute nei forzieri e nelle arche dei nostri antenati, se non passando per questi tirannici doganieri, che vogliono imporre le loro opinioni, i loro propri giudizi, la loro personale maniera di vedere le cose; nuove "autorità", alla cui sfrenata volontà tutti dovrebbero soggiacere, miseramente schiavizzati a giurare sulle parole di coloro "che sono esperti".
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