martedì 25 aprile 2017
«Veneriamo come sacri per la loro antichità i boschi, nei quali le grandi e antiche querce non hanno tanta bellezza quanta sacralità» (Quintiliano, 10, 1).
In occasione delle festività sacre, generalmente non mancano quelli che, volendosi mostrare liberi da vincoli religiosi, mal sopportano le celebrazioni solite, come se si fossero sobbarcati insieme ad esse anche una servitù imposta di nascosto. E, mentre si godono le ferie senza querimonie, inveiscono contro le motivazioni delle stesse, dicendo che in uno Stato libero non dovrebbe esserci alcun vincolo religioso imposto. Ma per ora tralascio che tale professione d'empietà per loro fa spesso le veci d'una nuova religione; anzi questi omiciattoli non di rado attaccano tanto duramente le opinioni da loro non condivise, quanto si scagliano contro i fanatici spesso da loro accusati d'eccessiva devozione. Ora però, a difesa della comune partecipazione alle feste – seppur c'è bisogno d'una mia difesa – guardo piuttosto al senso universale, spesso sotteso a tali celebrazioni e che riguarda tutti gli uomini nella misura in cui è segno e immagine d'inclinazione naturale. E la Pasqua certo, festa che per tradizione dedichiamo alla resurrezione di Gesù, mi sembra esserne esempio massimo. Infatti, se consideriamo le cose umane, ritengo non si arrecherà danno alla società se ogni anno onoriamo con religiosa memoria quell'Uomo giustissimo ucciso con morte ingiustissima. Talora infatti giova ricordare a quanto male abbia potuto indurre l'odio, così da tutelare in modo più energico e attento la giustizia, valore degnissimo per la collettività. Se cerchiamo invece un senso un po' più profondo, quella perpetua rinascita non sarà da ammirare e rispettare quale mistero e sacramento naturale? Qualunque cosa sia contenuta nell'universo, la vediamo sottomessa ad essa come a legge fatale: gli elementi e i semi delle cose, gli alberi e le piante, tutti gli esseri animati, le stelle e gli astri che lontanissimi da noi splendono in altri mondi con lume fecondo: vediamo tutto ciò finire nella morte, ma tuttavia lasciare qualcosa di sé, da cui il seme della vita venga rigenerato come da un flusso perpetuo. E perciò se uno considerasse che tutti gli uomini sono nati e sono stati generati con questa stessa legge, certo ammetterebbe che anche lui stesso, una volta morto, tornerà a questa vita vitale come goccia che torna al mare... il resto ovviamente resta mistero. Se gli uomini riflettessero su tali cose pur solo una volta all'anno, forse avrebbero un'idea più alta di sé stessi, e agirebbero meglio con gli altri. Ebbene, se qualcuno cerca d'oscurare queste parti della nostra umanità, costui agirà non diversamente da chi volesse privarci degli occhi: ci lascerebbe certo la vita, ma priva d'ogni colore e forma più viva.
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