martedì 22 novembre 2016
«Questo voglio, così comando, valga la mia volontà al posto di un motivo razionale» (Giovenale, VI, 233).
Platone, che non è stato solo un filosofo ma anche un acutissimo giudice e indagatore delle vicende umane, quando valuta singolarmente tutti i tipi di Stato, e riconosce quasi come innata la loro corruzione, sostiene che il pericolo della democrazia sta nel fatto che da essa nasca, come da una pianta, il demagogo. Tuttavia noi, sebbene già da tempo premuniti dalle sue parole, vediamo che ciò in passato non è successo solo una volta e che tuttora succede negli Stati che chiamiamo indipendenti. Anzi, se per caso Platone, non so con quale strano artificio riportato in vita, potesse guardare col suo ingegno e acume quel che vien fatto da noi moderni, penso che, più o meno, così s'esprimerebbe: «Da nessuna parte, per Zeus!, ho mai trovato tanta fecondità di demagoghi! Perché, mi chiederete? Sono sbalordito che ora costoro sono soliti adescare il cieco popolino non con parole assai pungenti, come ai miei tempi, o col falso cappio delle promesse, come sempre, ma piuttosto con una falsità teatrale, cui nessuno – come drogato – si oppone. Ormai credete che anche il governo dello Stato sia uno degli spettacoli coi quali la sera ci solleviamo dagli affanni quotidiani, guardando la tv. Il nome di "democrazia" non esprime più questo stato di cose, ma bisogna cercarne un altro: questo regno di guitti e di pagliacci è una "mimocrazia", per Polluce! E infatti un tempo con la persuasione, anche se inconsistente, volevano colpire gli animi di tutti; oggi, soddisfatti del semplice riso e dell'applauso, fanno le parti dei buffoni piuttosto che dei politici; un tempo, per guadagnarsi fiducia, dovevano dimostrare o almeno mostrare di osservare il diritto: ora invece attraverso quasi una plebea ostentazione di potere si procacciano seguaci e sostenitori che, entusiasti di questo godimento sfrenato, si recano in molti a vedere tali contese politiche, come se si trattasse di pugilato. In breve: non la soavità di parola, ma grida e insulti sono le armi che questi omiciattoli tirano fuori contro qualunque avversario, né ormai vince chi argomenta più acutamente, ma chi sberleffa in modo più sfacciato. Così quell'arte che noi greci abbiamo chiamato "politica" e che consiste di idee e persuasione non senza un certo acume, bisogna che sia completamente cancellata e anzi al suo posto non ci sarà più null'altro se non una rivalità sfrenata e senza legge. Eppure fate attenzione: infatti se l'uomo, come sostiene il mio allievo Aristotele, è definito un animale politico per natura, potete ben vedere che cosa di lui resti, una volta cancellata la politica».
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