Gilberto Colla è un attore, compagno di strada. Quando lo sento leggere le lettere di Van Gogh al fratello Teo, alla terza battuta, mi sembra di avere il pittore in persona lì davanti. Ha abbandonato l'accatastamento dei popoli metropolitano e si è ritirato sull'Appennino fiorentino. Qui, ha ottenuto di poter utilizzare una torre antica, abbandonata nei boschi, chissà dove. Sa che il teatro è da reinventare, dopo il blocco culturale dal quale vorremmo strattonarci fuori, ed allora intorno a questa che è diventata «La torre dei sogni», ha costruito con la precisa vigoria delle proprie mani il «Teatro fatto a mano». Sono panche, pedane, tavolacci collocati sotto la volta celeste, fruendo della sua scena e della sua clemenza climatica. È incredibile, tanta è la sete di gesti e parole veritiere, che ci sia chi perdendo il sentiero e ritrovandolo, sappia e voglia raggiungere quel luogo impensabile. È come battere due selci per far scaturire la scintilla primordiale. Qualcosa che ha a che vedere forse con il big bang e l'inizio della creazione dell'universo: in illo tempore. Condividono l'avventura di Gil la moglie Barbara ed il cane Anubi. Non ho dubbi: Anubi, col suo muso da matita affilata, è arrivato direttamente, portato dal libeccio e prelevato da una millenaria pittura egizia.
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