mercoledì 24 maggio 2017
Carlo Alessandro Landini (Milano, 1954), è fra i più quotati compositori italiani, l'unico ad aver vinto due edizioni consecutive del Concorso "K. Serocki" di Varsavia, nel 2002 e nel 2004. Ordinario di Composizione nel Conservatorio di Piacenza, ha insegnato Composizione e Strumentazione alla University of Maryland tenendo lezioni allo Um College Park, Washington D.C. Ha svolto seminari presso la University of California, presso il Department of Graduate Studies della Columbia University, la Eastman School of Music di Rochester, la State University NY di Buffalo e anche la Staatliche Musikhochschule di Trossingen (Germania). Nel 2008 ha conseguito, unico italiano da sempre, il primo premio al concorso internazionale "Witold Lutoslawski" di Varsavia col suo Le retour d'Astrée per violino e pianoforte. Nel 2016 ha vinto il primo premio al concorso internazionale "Francesco Siciliani" per il coro a nove voci Kyrie. Il riconoscimento gli è stato consegnato a Perugia dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. La giuria era presieduta da Helmut Rilling e ne faceva parte il grande Arvo Pärt.
La fama di Landini è ultimamente legata alla Sonata n. 5, una composizione monstre della durata di sette ore ininterrotte, dedicata al pianista Massimiliano Damerini che il 7 maggio 2015 ha offerto un'anteprima di "sole" tre ore nell'attraente Teatro Verdi di Fiorenzuola d'Arda. A questa Sonata Landini ha dedicato un commento antifrastico nel volume Misura e dismisura (Ed. Musica Practica e Didattica Attiva, Torino 2016, pp. 352, euro 24), essendo l'antifrasi la figura retorica con la quale si usa ironicamente (nel caso, sarcasticamente, mordacemente) una locuzione al posto del suo contrario, come quando si dice "Bravo!" come complimento di scherno o di rimprovero.
Landini parla di sé senza nominarsi («un compositore il cui nome stentiamo a ricordare, il cui nome - a voler essere esatti - non vogliamo neppure ricordare»), in una sorta di autocommento distruttivo, come a prevenire tutte le possibili obiezioni al «parto mostruoso» della Sonata, non tanto per confutarle quanto per spostare il discorso al livello alto della "dismisura" e del "monumentale". Dismisura come momento negativo, di opposizione alla misura di un canone, storicamente imposto o accettato, della lingua e del gusto; monumentale per struttura sì elefantiaca, ma bene in vista come il Colosseo o la piramide di Giza, che la collocano fuori dalla Storia. L'interminabile Sonata n. 5 è in scala ottotonica, il massimo dell'astrazione anaffettiva, disarmante progressione verso il basso, «verso il terminale declino della percezione». Landini sa che il non numeroso pubblico della Sonata («globalizzazione della noia») sarà costretto allo sbadiglio, ma proprio da qui si evince la catarsi: «Ascoltare la Sonata n. 5 ingenera noia, quest'ultima opprime, l'ascoltatore sbadiglia, sbadigliando il suo cervello, assopitosi nel corso del concerto, si risveglia: Surge, Lazare, veni foras!».
Fuori dall'antifrasi, Landini è ben consapevole che la sua «lectio difficilior è destinata a mettere a nudo le trappole di una produzione musicale oggi al suo minimo storico dopo l'abissale retour en arrière del postmoderno»; che il suo piano-sequenza ininterrotto è una sfida al tempo e al rumore, ed è un paradossale inno al silenzio che, per via di kenosis (svuotamento) riconduce la lingua allo «stato glaciale» originario. La Sonata n.5 è «un esperimento di freddo, di freddo voluto, lungamente inseguito e desiderato, di freddo intenso, di freddo risanatore».
Il professor Giovanni Piana, autore della celebre Filosofia della musica (20152), così conclude la postfazione: «Che senso ha leggere il libro se non si è ancora udita la Quinta Sonata? È vero il contrario: questo libro va letto prima di aver ascoltato la Sonata. Ed è scritto in modo da accompagnare il lettore di vituperio in vituperio, di deprecazione in deprecazione, fino a quel punto fatale in cui sorge il desiderio più vivo di ascoltarla». Carlo Alessandro Landini è un genio.
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