Ieri in metropolitana ho visto una signora infuriarsi con un ragazzo che, infilandosi al tornello dietro le sue spalle, passava senza pagare. Credo si fosse arrabbiata perché non è giusto che accadano queste cose, e perché ancora più ingiusto è fare finta di niente. Credo che quella stessa signora sia una che quando va in macchina passi con il verde e si fermi con il rosso. Credo che quando parcheggia, giri un'ora pur di trovare un posto libero e non lasciare l'auto in divieto o in seconda fila. Credo sia una che, quando sbagliano a darle il resto e si accorge di aver ricevuto cinque euro in più, sia una che lo fa notare con un sorriso e restituisca ciò che ha indebitamente ricevuto. Dalla faccia che ha, credo anche che sia una che si mette in fila quando c'è un turno da rispettare. Credo non abbia sottofondi, sottobanchi, sottintesi. Non posso esserne certo, ma credo anche che paghi le tasse, che rilasci la fattura quando esegue un lavoro, che pretenda la ricevuta fiscale quando fa un acquisto in un negozio. E se le dicono: «Perché, la fattura le serve?», credo che lei risponda: «Non è che serve a me, serve a tutti». Credo che quella signora, insieme a qualche altro milione di italiani per fortuna, sia lo specchio di un'anomalia. E l'inspiegabile speranza che non tutto sia perduto. L'ho invidiata quella signora. Credo fosse la mia coscienza.
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