venerdì 24 giugno 2022
“Un giorno nella vita” è un “luogo comune” della letteratura di tutti i tempi e paesi, la concentrazione in una giornata degli avvenimenti banali o eccezionali che segnano l'esperienza di un personaggio o di un gruppo. Mi vengono in mente Una giornata di Ivan Denisovic (Solženicyn), 24 ore nella vita di una donna (Stefan Zweig), il film di Blasetti (1946) sulla Resistenza che si chiamava appunto Un giorno nella vita, ma ci sono centinaia di romanzi e di film ad aver tentato questa sintesi. E mi viene in mente un'iniziativa più giornalistica che letteraria tentata a fine anni Trenta in un libro, non tradotto in italiano (ma almeno in parte in francese, e ne ho saputo da un rivista del tempo, in biblioteca), dove si raccoglievano testimonianze da tanti gli angoli dell'Urss, un impero immenso, su come vi si viveva, su cosa vi accadeva in un giorno qualsiasi, che si voleva diventasse esemplare. Un giorno, anche, nella vita di Stalin... ma soprattutto nella vita di un paese, dei suoi abitanti diversi tra loro ma uniti, si diceva, da un ideale comune. Ci sono certamente altri esempi del genere... Un'impresa simile è stata tentata di recente in Italia solo da due animose femministe, Alice Werblowsky e Carla Chelo: Siamo così. Un giorno nella vita dell'Italia attraverso le storie di 24 donne (TEA 2005). La concentrazione di più vicende in una sola giornata, nel tentativo di raccontare tutto un paese, nelle sue classi sociali, nei suoi ambienti fisici, nelle sue buone o cattive azioni, è un'iniziativa che il giornalismo italiano – quel che ne resta, nelle sue parti più sveglie – potrebbe facilmente affrontare, se un editore lo volesse, e se individuasse un curatore rispettabile e rispettato che stimolasse e guidasse, ma gli scrittori (giovani e vecchi) tengono troppo al loro narcisismo e hanno in uggia ogni ipotesi di lavoro di gruppo, convinti della propria importanza e unicità come un celebre personaggio del Belli, citato dal Marchese del Grillo di Monicelli Zapponi Sordi. Gli editori sanno bene che un'impresa del genere è di enorme difficoltà, e costosa, e neanche se la fanno venire in mente; la affronterebbero solo avendo uno o più sponsor privati o pubblici... Coordinare e “controllare” tante penne insieme sarebbe una faticaccia, e se Siamo così è stato possibile, quali che siano stati i suoi risultati, è per una forte persuasione di gruppo, per una appartenenza fortemente sentita. Eppure... Eppure sarebbe bello che giovani scrittrici/scrittori e giornaliste/giornalisti pensassero a investigare, dividendosi i compiti, su chi siamo, su come siamo diventati, su cosa facciamo e su cosa pensiamo (e la vicinanza o il distacco tra le due cose). Dalle Alpi al canale di Sicilia, attraverso città e paesi, valli e monti e litorali... Perché non si direbbe che i nostri connazionali sentano di appartenere davvero a un collettività, carica di problemi e di preoccupazioni comuni. E assai poco provvista di ideali comuni.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: