La sfida della competitività
sabato 25 settembre 2004
Fisco, competitività, qualità. Ma anche assoluta importanza dell'agricoltura nell'ambito dell'economia nazionale. Sono questi alcuni dei concetti che, in questi giorni di dibattito sulla Finanziaria, vengono sbandierati dai rappresentanti degli agricoltori. Idee che - a dire il vero - appaiono simili se non identiche a quelle di sempre. Intanto, però, alcuni dati economici fanno capire che anche nei campi molto è cambiato. Basta pensare alla perdita di valore che i prodotti agricoli hanno subito dopo l'arrivo dell'euro. Le imprese agricole si trovano sempre di più costrette fra la necessità di rispondere alle richieste del mercato e l'obbligo di recuperare competitività abbattendo i costi ed elevando la qualità del prodotto. Una condizione comune a tutte le imprese del mondo e che fa emergere chi davvero è nelle condizioni di reagire in termini di produttività e di mercato. Le discussioni sulla futura legge Finanziaria riflettono, in qualche modo, questa situazione. Da tempo, d'altra parte, i campi hanno smesso di chiedere risorse economiche, finanziamenti a fondo perduto e particolari provvigioni. Oggi, si punta a misure diverse. C'è chi, come Confagricoltura, chiede la conferma del regime speciale Iva e misure sul fronte fiscale e previdenziale. «Il costo del lavoro - ha spiegato Augusto Bocchini al vertice del sindacato - anziché adeguarsi alla diminuita redditività del settore, continua a lievitare. E siccome ciò avviene per il persistente aumento della pressione contributiva, si penalizzano le imprese, senza che ciò comporti aumenti retributivi al lavoro dipendente». «C'è bisogno di una svolta», avverte invece Giuseppe Politi, presidente della Cia, sottolineando come occorra «una nuova politica che dia il via ad una stagione di riforme e di propulsivi investimenti in grado di rilanciare la crescita del Paese, rafforzare la domanda interna e i consumi». Mentre Paolo Bedoni, a capo di Coldiretti, è partito da una considerazione più ampia che comprende tutto il resto. «La finanziaria - ha spiegato - deve puntare sulle potenzialità che offre l'agroalimentare di qualità per la crescita del sistema Paese nel mercato globale». Tutto giusto. Ma qual è il senso di tutto questo? Finita l'epoca degli aiuti alla produzione e dello Stato soccorritore, anche i campi si ritrovano a fare i conti con le ragioni dell'efficienza e del bilancio e, giustamente, cercano gli strumenti per rispondere nella maniera giusta alle nuove sollecitazioni. Anche perché l'economia e il mercato non aspettano. Al di là della domanda mutevole, delle nuove mode, delle istanze salutistiche, vale un dato per tutti: i prezzi pagati oggi agli imprenditori agricoli all'origine sono mediamente ridotti del 4% rispetto a prima dell'entrata in vigore dell'euro. Per capirlo basta confrontare le rilevazioni Ismea dell'agosto 2001 con quelle dello stesso mese del 2004. Una tendenza al ribasso che, a quanto dicono i produttori, non è andata a beneficio dei consumatori.
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