Per introdurre il suo ampio commento alla Settimana sociale dei cattolici italiani su "Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale", appena conclusasi a Cagliari, Marco Politi, sul blog che tiene sul sito de "Il Fatto quotidiano" ( tinyurl.com/yclbqeed ), ha sottolineato che i grandi media vi hanno steso sopra «un velo di disattenzione». Luigino Bruni, qui su "Avvenire" ( tinyurl.com/yd38s2wp ), ha tematizzato la medesima osservazione, ipotizzando, in modo convincente, che alla base del «silenzio imbarazzante del media cosiddetti laici» sulla quattro giorni di lavori e di proposte stia «il bizzarro concetto di laicità che si è affermato nel nostro Paese».
Diverso il quadro se si guarda alla copertura offerta sull'evento dai siti che in Rete si dedicano, prevalentemente o esclusivamente, all'informazione religiosa. Era impossibile infatti, percorrendo quelle vie digitali, non rimanere aggiornati sui lavori: non solo per i più volonterosi, che magari avevano anche scaricato l'apposita app o lanciavano sui social network l'hashtag #illavorochevogliamo, né solo per gli utenti dell'online di "Avvenire" e dell'agenzia
"Sir", ma anche per i navigatori random: con minore intensità e diversi accenti, la maggioranza delle fonti se n'è occupata. Con l'eccezione di quelle "antimoderne", che invece se ne sono disinteressate quasi all'unanimità: come se le problematiche relative al lavoro, che a Cagliari stavano sotto la lente d'ingrandimento dei cattolici italiani, non fossero significative anche per la riflessione sulla vita e sulla famiglia in prospettiva cristiana, che occupa sempre un posto centrale nelle loro linee editoriali. Eppure si trattava di un appuntamento che appartiene alla tradizione della nostra Chiesa, lungamente preparato e ampiamente partecipato. Se per i media cosiddetti laici Bruni segnala un difetto di laicità, per questi siti certamente cattolici si può ipotizzare un difetto di ecclesialità?
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