La scorciatoia in salita del cuneo fiscale
domenica 23 giugno 2024
All’Italia servono più lavoratori, soprattutto dall’estero, ma anche più produttività. ZeroVirgola riparte da dove era arrivata due settimane fa, per due motivi: in questi giorni la provocazione conclusiva – che peraltro riprendeva le Considerazioni finali del Governatore di Banca d’Italia, Fabio Panetta – ha generato alcune riflessioni da parte di diversi lettori che non possono essere fatte cadere. E poi perché la questione si incrocia con un altro tormentone in arrivo nell’autunno: il cuneo fiscale. Andiamo per gradi, e ripartiamo dalla produttività. Con l’ambizione di essere più chiari che scientifici, l’abbiamo definita come «il valore aggiunto generato per ora lavorata», sottolineando che in Italia è bassa, soprattutto nel terziario meno avanzato, perché paga tutte le varie inefficienze che pesano sulla società e sul “valore” che un lavoratore è in grado di produrre in cambio del “prezzo” che gli viene riconosciuto. La produttività è una grandezza insidiosa, in cui si mescolano elementi non sempre misurabili, non a caso è più facile calcolarne la dinamica che il valore assoluto. Sta di fatto che tutti, come ci è stato fatto notare, ci sentiamo meno produttivi di quanto vorremmo: perché non disponiamo della tecnologia di cui avremmo bisogno oppure perché le condizioni di contorno penalizzano la nostra concentrazione, dal traffico per raggiungere il lavoro a una postazione poco ergonomica. Come vediamo, a penalizzare la produttività ci sono fattori molto diversi e personali, in generale però ascrivibili al contesto in cui viviamo e operiamo, di cui lo Stato – più o meno direttamente – può essere considerato responsabile o referente. Uno Stato che molto ci dà e molto ci prende, come dimostra appunto il cuneo fiscale, che non è altro se non la differenza tra quanto sborsa il datore di lavoro e quanto incassa il lavoratore, ovvero la somma di prelievi fiscale e contributivi: secondo gli ultimi dati dell’Ocse relativi al 2023, in Italia è al 45,1%, dato che vale la quinta posizione nell’Organizzazione. Davanti ci sono, nell’ordine, Belgio (52,7%), Germania (47,9%), Austria (47,2%) e Francia (46,8%), Paesi in cui i livelli di protezione sociale, dalla sanità alla scuola, sono elevati ed efficienti e dunque richiedono ingenti risorse, che però consentono ai lavoratori di essere più produttivi. Una specie di circolo virtuoso, che in Italia – viste le inefficienze del sistema – diventa soprattutto vizioso, e porta a lavoratori cornuti e mazziati, cioè pagati poco e poco produttivi. È anche per questo che negli anni la politica è intervenuta riducendo a spese dello Stato il cuneo fiscale, per aumentare il reddito disponibile, compensare l’inflazione, ma in fondo – vogliamo romanticamente pensare – anche per farsi perdonare degli ostacoli che il “sistema” non è in grado di rimuovere. Come abbiamo avuto modo di discutere con un brillante collega, così a livello teorico la produttività è ulteriormente calata, però a livello pratico magari ha beneficiato della maggiore fiducia che le buste paga un po’ più consistenti hanno portato tra i lavoratori. Ma ora, archiviate le maglie larghe del post-Covid, è entrato in vigore il nuovo patto di stabilità europeo e i circa 10 miliardi che ogni anno costa allo Stato l’attuale taglio del cuneo sono un prezzo che in teoria non possiamo più permetterci. La Finanziaria d’autunno partirà da un fabbisogno di almeno il doppio: la strada più breve per trovarli passa proprio per l’azzeramento del taglio del cuneo fiscale, come peraltro consiglia il Fondo monetario internazionale. Vero. L’ideale sarebbe sostituirla con un pacchetto di investimenti mirati, magari anche meno oneroso ma capace di impattare strutturalmente sulla produttività: ne avremo il coraggio (oltre che la capacità) di metterlo a punto? Le generazioni future ringrazierebbero. © riproduzione riservata
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