Anche se non ha letto “La religione dello scenario”, chi lavora nella comunicazione sa che la morte di un artista o comunque di un personaggio pubblico è (l'ultimo) momento buono per interrogarsi – e possibilmente informare – sulla sua fede religiosa. Talvolta si apprende di conversioni in punto di morte, magari affidate a non meno noti uomini di Chiesa; talaltra si specula e si spettegola sull'eventuale funerale “in chiesa”… Ma se il personaggio, dopo aver frequentato le copertine, muore dimenticato, l'idea che in quell'anonimato avesse tratto conforto dall'amor di Dio è irresistibile, per i media: forse perché allevia il senso di colpa di un sistema che spesso “usa e getta” i suoi prodotti, i quali però sono anche persone. Come Laura Antonelli, «icona sexy» degli anni Settanta.L'informazione specializzata non partecipa volentieri a questo gioco: e infatti, anche nella scorse ore, nella blogosfera ecclesiale i post sull'argomento si contavano sulle dita di una mano. Ma pare che effettivamente l'attrice, sola, malata e sostanzialmente povera, si fosse affidata, negli ultimi anni, alla preghiera e alla pratica religiosa, assistita in particolare da uno dei preti del paese dove viveva, Ladispoli. Lo ha confermato all'Ansa (http://tinyurl.com/poj6776) Claudia Koll: anche lei ex attrice, protagonista di una riscoperta della fede più nota e pubblica, si era fatta prossima, recentemente, della collega.Nel caso di Antonelli, raccontare senza rispetto e misura questo aspetto della sua storia rischia di essere ancor più strumentale del solito: la sua fortuna di attrice è passata attraverso un elemento – l'erotismo – che con immutato successo i media contrappongono alla fede. Come ci ricordano due elementi formalmente “sacri”, ma sostanzialmente assai “profani”, ben presenti nell'immagine di Laura Antonelli: il ruolo di suora-infermiera, esibito sin dalla locandina di uno dei suoi film più popolari, e il soprannome di «divina creatura», dovuto a un film poco più che pretenzioso e oggi titolo di un sito di fan.
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