Oggi il via al Mondiale di Russia lo dà una figurina che con il calcio non c'entra neanche di striscio, Alfredo Ravaldini. Alzata la bandiera a scacchi, era il primo a sfrecciare al manubrio della sua poderosa, la Isch 350. Nella gelida e Grande Russia, quel giovane centauro romagnolo, di Gatteo a Mare, classe 1919, c'era arrivato da soldato e di lui si erano perse le tracce dal 29 dicembre del 1942. Il giorno in cui in forza alle truppe del Csir (Corpo di spedizione italiano in Russia) venne fatto prigioniero nella zona del Don. Fu poi internato in un campo di lavoro in Siberia. «Eravamo entrati in settanta, ne uscimmo solo in due, il 3 marzo del 1946». A salvarlo fu il calore del trattore acceso nelle notti da addetto all'officina, ma soprattutto quello della sua carceriera, la sottotenente dell'Armata Rossa Zinaida. La mamma dei suoi tre figli. Ed è solo per amore di quella donna se rimase nella Russia stalinista in cui venne riconosciuto «genio della meccanica». Con le lezioni di motociclismo apprese in Italia dal campione del mondo Libero Liberati divenne l'asso del Moto Club di Leningrado. Un fenomeno, Ravaldini, che in sella alla sua "rossa", vinse sette titoli nel "Mondiale interno sovietico". Lo nominarono "Maestro dello sport" e la sua faccia finì stampata sul francobollo celebrativo da 10 copechi, emesso a Mosca nel 1961. In Italia il suo nome è inciso solo sulla tomba del piccolo cimitero di Gambettola, dove ora riposa il "Valentino di Russia".
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