Interrogo il mio robot con tre stringhe di testo che a lui qualche confusione la generano, ma che ad altri umani lascerebbero pochi dubbi sull'oggetto del mio interesse: “Liberazione”, “Resistenza” e “25 aprile”. Fatte le necessarie disambiguazioni mi rimangono, entro il perimetro digitale-ecclesiale di cui ho competenza, una quindicina di ricorrenze; un'altra decina la ottengo se invece sposto la mia ricerca dentro al circolo di Facebook. Siamo comunque alla pari degli altri argomenti preferiti dai redattori in questi giorni: la Chiesa e il dramma dei migranti nel Mediterraneo; l'esercizio della violenza in nome della religione; l'attività ordinaria di papa Francesco. Se poi dalla quantità passo alla qualità, trovo impigliate nella Rete almeno due perle, l'una di ieri e l'altra di oggi, ma che paiono sfilate dalla stessa collana. “Korazym”, per mano di Simone Baroncia ( http://tinyurl.com/mehkmd2 ), mi ripropone, in tema di Resistenza, parole di don Primo Mazzolari, ulteriormente avvalorate, in questi giorni, a motivo dell'avvio del processo di beatificazione. Scritte “a caldo”, all'indomani degli avvenimenti, esse li misurano con un metro che non andrebbe mai smarrito: «La brigata portava un nome e un'insegna di partito ma niente ti prendeva di quel “particolare”. Tu eri “partigiano” della libertà di tutti, lottavi e soffrivi per tutti gli italiani». Il sito della rivista “Il Mulino” racconta, a firma di Elena Pirazzoli (http://tinyurl.com/pywpwrw ), come i bolognesi crearono spontaneamente, a partire dalle prime ore della Liberazione, quello che sarebbe diventato il luogo della memoria di quel tempo, attaccando le fotografie dei propri caduti sul muro cittadino contro il quale i nazifascisti fucilavano gli oppositori. Condividendo pensieri e sentimenti di altri autori, l'articolo suggerisce che per onorare questi morti convenga non smettere di indagare i loro sguardi. Magari per leggervi – aggiungo io – le parole di Mazzolari.
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