La liberazione è passata anche da un campo di pallone. Resistenza per Bruno Neri non fu soltanto quella alla corsa e alla fatica di una vita da mediano. Il faentino, debuttante in B a 16 anni con la squadra della sua città, è stato un esempio raro di calciatore intellettuale e di combattente. Universitario alla Studi orientali di Napoli e, quando era alla Fiorentina, dopo l'allenamento correva al Caffè delle Giubbe Rosse, dove ai tavoli sedeva con Montale, Landolfi, Carlo Bo e Delfini. Il tenente Vittorio Pozzo lo arruolò in Nazionale, ma la sua sfida più importante la combatté su un campo di battaglia, assieme al cugino Virgilio Neri, imprenditore, milanese e cattolico fervente vicino a Giorgio La Pira e don Luigi Sturzo. Fu proprio Virgilio che fece di Bruno il “Berni”, vicecomandante del Battaglione Ravenna. Ma il 7 maggio del 1944 era ancora il calciatore Bruno Neri quando, a sorpresa, scese di nuovo in campo in un Bologna-Faenza 3-1. Quello fu il suo addio al calcio, poco prima di congedarsi per sempre anche dalla vita. Il 10 luglio, assieme al compagno partigiano “Nico” (Vittorio Bellenghi), nei pressi dell'eremo di Gamogna, rimase ucciso in un conflitto a fuoco con i soldati tedeschi. Erano due ragazzi, due trentenni. Bruno Neri era un giovane che aveva sempre corso per la libertà e sognato un Paese migliore da consegnare al popolo, non solo quello degli stadi.
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