Leggo sempre con un briciolo di irritazione le tante pubblicazioni di associazioni di volontariato e affini, soprattutto quando sono un po' patinate e sembrano fatte per ragioni di propaganda e mosse da un ormai abituale (e insopportabile, egoistico, retrogrado) narcisismo di gruppo: Ognuno per sé e Dio contro tutti, diceva il titolo di un film di Werner Herzog. In piccola parte è forse anche il caso di quella del Cnca (il benemerito, attivo e saldo Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza federazione di tante associazioni il cui presidente è un vero “persuaso”, don Armando Zappolini). Lettere dalle periferie del Mediterraneo (www.cnca.it o info@cnca.it) è un agile volume molto illustrato e non austero che riserva la sorpresa di testi significativi, talvolta appassionanti. Sono resoconti di incontri avuti da membri del Coordinamento in giro per i nostri Sud: a Lampedusa, a Tunisi, ad Atene, a Ceuta... in campi, in centri Caritas, in zone di partenza o di sosta per migliaia di migranti, in luoghi dove si fa mercato di corpi vivi e corpi morti e dove i vivi penano nella speranza di un domani migliore, o dove c'è chi soffre nell'attesa di notizie di quelli che sono riusciti a partire, dove c'è chi piange chi è morto nella lontananza. Questi testi ci scoprono grandi dolori e grandi viltà, senza la smania dei giornalisti a caccia di storie lugubri per rendersi noti, e condividono per un tratto le angosce dei reietti, ci fanno vergognare dei nostri privilegi. Raccontano un'umanità che resiste “nella colpevole indifferenza” di chi fa parte, anche se ipocritamente lagnoso, dei paesi più benestanti del pianeta. A pagina 68 del libro troviamo imprevedibilmente una citazione da Brecht: «Anche il minimo atto, in apparenza semplice, osservatelo con diffidenza (…) quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto: è naturale, in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile». Brecht scriveva negli anni Trenta delle dittature e dell'incubazione di una guerra mondiale; noi lo leggiamo in tempi di un disordine perfino maggiore, di una ferocia non certo minore. Di costi umani e di costi economici ci parlano i relatori del Cnca, non accontentandosi del racconto e della deprecazione. Invocano risposta, organizzazione, politica. È questo che distingue, mi sembra, questo volumetto da altri consimili. E ci si augura, all'inizio di un nuovo anno, che la federazione Cnca si apra ad altre federazioni, che altre federazioni nascano più vaste e con intenti più generali, meno auto-referenziali e difensive, più chiare e più combattive, più attive, più necessarie.
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