Data la mia predilezione per la radio, non potevo che essere attratto dall'intervista rilasciata allo «Straniero» (n. 117) da Marino Sinibaldi, nuovo direttore del Terzo programma radiofonico. Il primo pregio della radio, secondo Sinibaldi, è che unisce leggerezza e intensità: queste due cose «apparentemente contraddittorie - si alimentano a vicenda». La radio è un medium che favorisce un'attenzione duttile e mobile ma anche piuttosto concentrata, creando un senso di intimità, di familiarità fra chi parla e chi ascolta. Inoltre è un mezzo tecnicamente semplice, che non chiede e non promette molto. Voce e musica riducono le sovreccitazioni spesso fastidiose della spettacolarità. In tv i conduttori finiscono per alzare sempre di più la voce, si agitano e corrono di qua e di là per movimentare il quadro, prendono un'aria da domatori o direttori d'orchestra e vengono rapidamente involgariti, deformati e viziati dal protagonismo. Alla radio si può invece usare la voce con maggiore naturalezza o con più arte. Soprattutto, le parole contano. È possibile leggere poesie e perfino, a puntate, interi romanzi. Più di una volta, come un assoluto principiante, mi è successo di riscoprire grazie alle letture di radio3 la qualità verbale e vocale di famosi romanzi, come Senilità o Fiesta di Hemingway. La radio
rende anche possibili discussioni di una certa complessità, che un conduttore tv non ospiterebbe mai. La maggior parte dei programmi televisivi dedicati ai libri sono riusciti male o sono presto spariti. A radio3 si parla in continuazione di libri e la cosa è sempre apparsa naturale. C'è poi una differenza che potrebbe essere immaginaria e andrebbe verificata: il pubblico televisivo è e vuole essere comunque di massa, è un pubblico piuttosto assuefatto e che spesso usa il mezzo come rumore di fondo. Almeno oggi, credo che invece l'ascolto radiofonico sia più individuale e culturale. Più che alla massa, sembra che la radio sia fatta per parlare a un pubblico.
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