Negli ultimi giorni è rimbalzata dalle agenzie di stampa ( bit.ly/2K4AHKH ) ad alcuni siti e blog di sentimenti “tradizionalisti” una notizia a proposito della processione del Cristo morto celebrata a Chieti lo scorso Venerdì santo: sul crocifisso retto, in quasi-solitudine, dall'arcivescovo Bruno Forte l'effigie di Gesù si è momentaneamente staccata dalla croce. Si è trattato davvero, come mostra il relativo video, di un piccolo e banale incidente, rapidamente risolto dal sacerdote che affiancava l'arcivescovo. Ma ciò non ha trattenuto quei siti dall'enfatizzarlo, insinuando che avesse un significato simbolico anche perché occorso a un pastore da essi etichettato come «ultraprogressista». Sin dall'inizio la pandemia da coronavirus è stata interpretata, negli ambienti religiosi in cui prevale un sentire antimoderno, come «castigo di Dio» a un'umanità che ha preteso di ignorare le sue leggi, e a una Chiesa che avrebbe smesso di contrastare tale pretesa. Anche a causa delle gravi ricadute della pandemia sulla vita liturgica e spirituale, c'è chi vi ha visto imminente la fine dei tempi, chi ha inteso ravvisarvi antiche o recenti rivelazioni private, persino chi ha immaginato una sorta di contrappasso di alcuni recenti eventi ecclesiali. Ma non si può accettare che questo modo, già di per sé opinabile, di leggere la crisi del coronavirus trascenda in forme di superstizione utili solo a inquietare i fedeli e diffamare i loro pastori. Peraltro, in quell'occasione monsignor Forte, come hanno fatto tanti suoi confratelli in queste settimane, stava valorizzando proprio le antiche tradizioni della Chiesa di cui è alla guida. «Portando il Crocifisso per il centro cittadino, ho desiderato portare nel cuore i dolori e le angosce, le speranze e le attese di ciascuno e di tutti, e ho invocato con fede quello che sin dall'inizio ho proposto di domandare al Signore nella preghiera da me scritta per la liberazione da questo flagello», ha detto al termine della processione, prima di rinnovare quella preghiera ( bit.ly/2z13RYW ).
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