Per togliere ogni dubbio, sotto il curioso titolo del nuovo libro di Giampiero Neri, Il professor Fumagalli e altre figure, c'è scritto Poesia e, del resto, il testo (paronomasia: accostamento di parole simili nel suono – resto, testo – ma di significato diverso) compare nello "Specchio" mondadoriano, collana poetica quant'altre mai (pp. 112, euro 16). Ma attenzione: «Poesia», non «Poesie», perché non è una raccolta di poesie in forma di prosa, e neppure è «prosa d'arte» del tempo che fu, è poesia anche se non in versi, e non è un poema o poemetto, è un modo di essere, il modo di essere di Giampiero Neri.La prosodia di Neri non ha l'empito immaginifico di Saint-John Perse e non richiama il versetto biblico di Paul Claudel: semmai, se proprio si vuole insistere con i paragoni, è in Francis Ponge che possiamo trovare richiami, ma mentre in Ponge sono gli oggetti a prendere anima sia pure in contesto funebre o limbale, in Neri è sempre la memoria a lavorare su frammenti di figure e sentimenti che non vengono "attualizzati", bensì riportati in quanto mai dimenticati.Certo, anche in prosa l'endecasillabo è sempre in agguato, e ci vorrebbe l'orecchio assoluto di mons. Bruno Bosatra (che riconosce gli endecasillabi anche nei titoli di giornali e nella pubblicità, e ne ha scritto un libro) per isolare preziosità endecasillabiche nella prosa neriana. Ma, per convincere, basta l'esempio del brano dedicato "a V. Fallini" che trascriviamo con barre a scandire i versi impliciti (endecasillabi, appunto, anche nelle componenti di quinario e settenario): «Qualcosa brucia / sotto la cenere, / espressione di una risolutezza / che procede in solitudine, senza / tentennamenti, e che principalmente / si alimenta di un rapporto amoroso / troppo bruscamente interrotto e che / peraltro non vuole spegnersi. "Vano" / è parola essenzialmente poetica. / Rimanda al "van dolore" del Petrarca, / un dolore che, anche se vano, non / attenua per questo la sua bruciante / esperienza». Perfetto il verso «Rimanda al "van dolore" del Petrarca», meno canonici i due ultimi endecasillabi in quinta, ma sono pur sempre endecasillabi.Dunque la prosa di Neri è poesia perché segretamente in versi? Niente affatto, o, almeno, non solo. È poesia per il ritmo, perché include un metronomo che impone un'esclusiva scansione del tempo. Si provi a leggere Neri ad alta voce: spontaneamente si è indotti a modulare un "andante" come leggendo una partitura musicale, e se si tenta di accelerare il ritmo ci si avvede immediatamente di steccare. Perché la poesia è appunto questo: un testo con pronuncia obbligata.I temi sono quelli ai quali Neri ci ha abituato: la casa di Erba, episodi minimali ma incancellati della guerra e del dopoguerra, personaggi stravaganti intravisti e scomparsi con il loro mistero. C'è anche la presenza del fratello, lo scrittore Giuseppe Pontiggia, sodalizio intermittente anche per inevitabili e non chiarite rivalità. Ecco, dell'autore di La grande sera un giudizio poco fraterno ma criticamente esatto: «Di romanzi mio fratello ne aveva già scritti più di uno, ma qualcosa mancava per poterli definire il romanzo che i suoi lettori e lui stesso avrebbero voluto». Eppure, dal fratello, Neri ricevette in dono un esemplare rarissimo dell'edizione originale dei Canti Orfici di Dino Campana, di quasi inestimabile valore bibliografico. E il professor Fumagalli? «L'andatura del professor Fumagalli era piuttosto eccentrica, forse dovuta a un remoto incidente di gioco». Era un uomo singolare, sorprendente e incline al paradosso. Mite, ma capace di scagliare un libro contro un alunno che aveva auspicato una bomba sulla scuola. Pennellata conclusiva: «Proprio un mio amico, parente alla lontana di Gadda, mi aveva detto di lui: "È un lazzarone"».
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