Erano gli anni intorno al '68. L'estate era bruciante e, verso sera, su una Cinquecento che riempivamo completamente, andavamo alla abbazia di Chiaravalle, alla periferia di Milano. L'aveva fondata san Bernardo di Clairvaux. L'intensità del rosso del suo cotto, si trova solo in questo impareggiabile gotico cistercense. Lì era stata sepolta, a suo tempo, l'eretica Guglielma la Boema che qualcuno considerava l'incarnazione dello Spirito Santo in un corpo femminile. C'è anche il famoso campanile detto «ciribiciacola» che sorge al centro del presbiterio da intelligenti e inusuali strombature. Eravamo tre amici e, quando il sole smetteva di tormentarci, a secchi d'acqua soccorrevamo una pinetina appena messa a dimora ma già malridotta dall'incanaglimento della stagione. Alla fine Fra Benedetto, dalla statura equivalente a quella del suo sorriso, ci dissetava regolarmente con un bicchiere di vino bianco, fresco di cantina. A distanza di anni, sono tornato cercando di varcare l'antico portone del giardino ma un monaco mi ferma, è un luogo riservato. Allora pronuncio scherzosamente la frase peninsulare «Lei non sa chi sono io» e racconto dei rosari di secchi d'acqua d'un tempo. Mi ospita: i pini ora sono alti una mezza dozzina di metri. Mi sento un po' il papà di questa pinetina consolidata. Intanto s'è fatta l'ora di compieta. I monaci cantano il lentissimo gregoriano come se stessero rianimando l'anima della milanese esausta città.
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