L'idea più comune che abbiamo del tempo è quella che ci dà l'orologio: un secondo dopo l'altro, le ore che si succedono, i giorni, i mesi, gli anni. Nessuno riesce a fermare il tempo, che sta sempre correndo con un galoppare ininterrotto. In certo modo, questa concezione tipicamente cronologica finisce per marcare anche la visione di quel che è la nostra vita. Tempus fugit, dicevano gli antichi. L'esperienza che noi facciamo è di non possedere il tempo, di non riuscire a frenarlo nella sua fuga senza fine. La vita è una corsa, un'accelerazione: pare a volte che la strada sotto i nostri piedi vada più veloce della nostra marcia. Da qui ci proviene la sensazione di una vita liquida, vissuta nel vuoto, senza mai arrivare al filo di lana della promessa. Eppure Gesù dice: «Il tempo è compiuto». Il tempo è giunto alla sua pienezza. Gesù senza dubbio riconfigura il tempo a partire da un altro sguardo. Nella grammatica di Gesù, il tempo è il momento in quanto opportunità, occasione per essere, grazia celebrata nel qui e ora, ma in un inseparabile dialogo con il tempo di Dio. L'istante, questo istante, non è unicamente una porzione della vita che passa. Per questo dobbiamo plasmarlo come luogo dell'incontro più profondo con noi stessi, guardando alla pienezza non come a un'utopia irraggiungibile, ma come a un invito, a un dono aperto, a un sapore offerto.
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