«Se devo morire, io morirò. Ma insieme a loro. Senza di loro, io non parto». Era rimasta. Con "loro", ma anche con solo qualche chilo di latte in polvere, venti uova, tanta fame arretrata e circondata da un Ruanda messo a ferro e fuoco dalla violenza. Settantasei anni aveva Amelia Barbieri. Una donna minuta, ma con una forte fibra, capace di rinunciare a una salvezza sicura in elicottero, per mettersi al volante di un fuoristrada Toyota e guidarlo per 600 chilometri, sobbalzando su tutta pista di terra e sassi per raggiungere l'Uganda. Strade terribili, cercando di scansare i posti di blocco dei "demoni" armati, assetati di violenza, per portare in salvo "loro".
Amelia in Italia era nonna e bisnonna; in Africa "mamma" di 50 e più orfani, da pochi giorni di vita a dieci anni d'età. Un giorno d'aprile del 1994, in piena guerra civile ruandese, militari delle forze speciali internazionali, tra cui paracadutisti italiani della "Folgore", si presentano da lei per evacuarla dalla "Casa di accoglienza san Giuseppe" di Muhurura, novanta chilometri dalla capitale Kigali, costruita con la carità e il sostegno dei suoi compaesani.
La guerra sta massacrando il Paese e i machete insanguinati non si fermano davanti a niente e a nessuno. Una morte atroce. C'era da augurarsi di essere finiti al primo colpo di rasoio piuttosto che agonizzare per ore con le braccia e le gambe mozzate. Bisognava andare via, al più presto. Ma i bambini no, sono ruandesi e devono restare dentro l'inferno. La loro condanna a morte è sicura. Amelia è cocciuta più dei parà, resta anche lei. Lei che, prima di tutta questa storia, raccontava: «Se da pensionata fossi rimasta a fare niente, a 76 anni ero buona solo per l'ospizio».
Per "dare un senso alla vita" di un'ostetrica in pensione, vedova, scelse l'Africa, salutando figli, nipoti, bisnipoti e il suo paese, San Vito di Leguzzano, in provincia di Vicenza. La svolta avviene per caso nel 1983, con un appello apparso su "Famiglia Cristiana". Si cerca una levatrice volontaria per il Ruanda: «Eccomi, sono io, Amelia, la pensionata di Leguzzano».
Qualcuno la paragona a Madre Teresa di Calcutta per la sua immensa carità dedicata al prossimo: «Per favore, no. Io conto quanto uno zero». Il suo sogno era «poter vedere quei pensionati italiani, abbandonati su una panchina, che hanno imparato un mestiere da elettricista, meccanico, saldatore, falegname, qui con me. A insegnare i loro mestieri, per far crescere il futuro dell'Africa per l'Africa». In Italia monta la preoccupazione. Dal Ruanda giungono notizie terribili di massacri cui non sfuggono neppure gli stranieri. Cosa fare? È un miracolo di solidarietà: scatta l'"Operazione cicogna".
L'associazione "Insieme per la pace" di Maria Pia Fanfani, la Compagnia di San Paolo-Opera cardinal Ferrari di Milano, che mette a disposizione un Boeing della compagnia aerea "Tea", volontari della Croce rossa di Varese e dottori del Niguarda di Milano si giocano le ferie: andiamo a prenderli tutti. Scatta un ponte aereo che in 24 ore porta mamma Amelia e i suoi bambini in Italia. Dopo l'orrore si risvegliano i sorrisi. Finita la guerra civile, l'ostetrica Barbieri ritornerà in Ruanda per rimanervi fino al 2012, quando la malattia la costringe a rientrare a Leguzzano. Dove si spegnerà nel 2016. Questa è la storia della pensionata Amelia. Italiana qualsiasi, ma eroica nel bene. Ricordata nel centenario della sua nascita, che cade oggi, 15 luglio 2018.
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