C'era una volta, quasi settant'anni fa, il progetto di una Difesa comune europea. Lo caldeggiavano per ragioni strategiche gli Stati Uniti d'America, soprattutto come antemurale alla crescente minaccia della Russia stalinista. Ma lo condividevano sul terreno ideale anche convinti europeisti come l'italiano Alcide De Gasperi.
Molto meno, in una prima fase, il francese Robert Schumann, ostile al riarmo della Germania che ne sarebbe derivato, e lo stesso Konrad Adenauer, contrario come la maggioranza del suo popolo,
ancora troppo duramente provato dalla bufera nazista, alla rinascita di una Bundeswehr. Si andò avanti faticosamente tra ipotesi alternative - come il "piano Pleven" - e l'idea di dar vita a una "Comunità europea di difesa", analoga a quella del carbone e dell'acciaio (Ceca), elaborata dall'Italia, ma anch'essa molto contrastata.
Finché le pressioni americane riuscirono a far firmare nel maggio del 1952 un "patto istitutivo" della Ced, da affiancare a una vera e propria "Comunità politica europea", di cui fu presto approvato persino uno Statuto. Ma tutto si arenò per la mancata ratifica da parte della Francia, scossa dai rovesci militari in Indocina e il cui governo socialista guidato da Mendès-France doveva fare i conti con gli "opposti estremismi" di gollisti e comunisti. A onor del vero anche l'Italia stava tergiversando, nella speranza di incassare concessioni sulla zona di Trieste contesa con la Jugoslavia. Ma se Parigi avesse dato il via libera certamente anche Roma avrebbe seguito. Sono note le lettere accorate di De Gasperi nell'agosto del '54, scritte sul letto di morte a Fanfani e Rumor, per incitarli a riprendere l'iniziativa.
Da allora l'idea di un esercito europeo si è riaffacciato a più riprese sulla scena continentale. Ma nel frattempo il muro di Berlino era caduto, in America il vento è girato e l'idea di un complesso militare dell'Unione, a guida autonoma anche se non concorrente con la Nato, non ha più trovato simpatizzanti lungo l'asse Casa Bianca-Pentagono. Anzi, come dimostra l'aspra polemica dei giorni scorsi fra Emmanuel Macron e Donald Trump, si può parlare ormai di vera e propria ostilità di Washington. E non solo perché il presidente francese ha evocato l'ipotesi che in futuro potrà essere necessario difendersi dagli stessi Stati Uniti, scenario definito "insultante" dall'attuale Commander-in-chief.
Nonostante ciò l'inquilino dell'Eliseo, in debito di consensi a casa propria, prova ad andare avanti ma, secondo la stragrande maggioranza degli osservatori, con scarse possibilità di effettivo successo, nonostante il sostegno di un'Angela Merkel a sua volta in parabola discendente. Macron aveva esposto il suo progetto di "Initiative européenne d'intervention" nel settembre dell'anno scorso in un discorso alla Sorbona, incurante del fatto che l'anno prima, in attuazione del trattato di Lisbona, la Ue avesse dato vita a un suo Piano d'azione e a una "Cooperazione strutturale permanente" tra 25 su 27 Paesi membri, in materia di sicurezza e Difesa interna.
Tra giugno e agosto di quest'anno la Francia ha ottenuto la firma di una lettera d'intenti da otto Stati (Germania, Spagna, Portogallo, Danimarca, Belgio, Olanda, Estonia e Finlandia), più la Gran Bretagna, la cui adesione è però politicamente indebolita dall'imminente attuazione della Brexit. Il 7 novembre scorso, inoltre, i nove ministri della Difesa si sono incontrati a Parigi per darsi un'agenda di lavoro comune. Resta naturalmente sottinteso che la leadership dell'iniziativa andrà riconosciuta a Parigi. Anche perché nel frattempo Macron ha annunciato in gran pompa, da bordo della portaerei "Charles De Gaulle", nuovi investimenti per 5-7 miliardi di euro in armamenti aereo-navali.
Si conferma insomma che la tentazione egemonica, unità al virus nazionalista, è il vero nemico di un'Europa più unita. Chissà, se la Francia non avesse bloccato quel primo progetto di Difesa comune, oggi Macron non dovrebbe fare i conti con una delle tante nemesi della storia.
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