Dalle parti di Bruxelles in pochi amano Emily O'Reilly, ma tutti di sicuro la temono e fanno attenzione a non entrare nel suo mirino. L'anno prossimo festeggerà dieci anni di permanenza nell'ufficio di “mediatore europeo”, noto anche come “Ombudsman”, dove resterà in carica almeno fino alle elezioni del 2024. Il suo ruolo è quello di difendere i diritti del cittadino europeo, al cospetto delle istituzioni della Ue e del loro sempre più esteso potere di condizionamento della vita quotidiana.
Irlandese di Tullamore, 64 anni, giornalista investigativa, scrittrice e conduttrice tv, O'Reilly aveva già svolto le funzioni di garante civico nel suo Paese, prima di essere chiamata al servizio della Ue, sulla scia di un grosso scandalo internazionale, che nel 2012 portò al primo caso di “licenziamento” di un commissario europeo, il maltese John Dalli. A differenza del suo predecessore, la mediatrice ha dato al suo ufficio un'impostazione molto diversa da quella di terminale passivo di lamentele e denunce. Ha promosso invece indagini e iniziative autonome in nome della trasparenza e della correttezza amministrativa.
A giugno dell'anno scorso, il Parlamento europeo ha votato a larghissima maggioranza (602 su 692 presenti) un nuovo Statuto dell'Ombudsman, che gli garantisce più risorse finanziarie e rafforza il quadro giuridico nel quale opera, ampliandone competenze e indipendenza. Soprattutto, il testo conferma la possibilità per il garante di attivarsi senza impulsi esterni, quando individua casi di cattiva amministrazione, specie se ricorrenti e particolarmente gravi.
Tra i comportamenti da sempre sotto sorveglianza di Emily O'Reilly e dei suoi circa 70 collaboratori, figura ai primi posti la malapianta delle cosiddette “porte girevoli”, attraverso le quali funzionari e dirigenti degli organismi Ue si trasferiscono al servizio di società o studi privati, portandovi competenze e reti di conoscenze interne alla galassia europea, che avvantaggiano i loro nuovi datori di lavoro, spesso proprio nel trattare con le istituzioni appena lasciate. Sulla carta ci sono regole che impongono, a chi riceve proposte di assunzione, di ottenere il via libera, totale o condizionato, per i nuovi incarichi. Ma la manica di chi vigila resta troppo larga.
L'ultimo avviso in materia è arrivato pochi giorni fa, al termine di un'inchiesta che la Mediatrice ha promosso l'anno scorso, analizzando un centinaio di casi di “esodo” dagli uffici Ue, dei quali appena due non hanno avuto l'ok di Bruxelles. Pur riconoscendo progressi nei controlli della Commissione, si sollecita “un approccio più rigoroso sui movimenti di personale verso il settore privato”, per non “compromettere l'integrità dell'amministrazione” di tutta l'Unione. In sintesi, O'Reilly osserva che è inutile imporre dei limiti sulla carta se poi non se ne controlla il rispetto, chiede che si imponga al nuovo datore di lavoro di pubblicare sul suo sito internet le restrizioni a carico del dipendente ex-Ue, invita a rendere subito pubbliche le decisioni sui “via libera” concessi.
La prassi di passare dalle istituzioni pubbliche alle dipendenze di privati più generosi è chiamata in francese “pantouflage”, da pantoufle, cioè pantofola. Rende bene l'idea di chi va a stare meglio, mettendosi comodo e con “i piedi al caldo”. Tutto lecito, fa capire la “mastina” irlandese fluente nella lingua di Molière, ma non a spese dei cittadini europei. Inutile, altrimenti, piangere sul sovranismo che avanza.
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