In America Latina, molti Paesi sono intrappolati in un circolo vizioso di “presidenzialismo imperiale”, un sistema in cui l’esecutivo esercita un dominio schiacciante sulle altre istituzioni politiche. Questa concentrazione di potere porta alla delegittimazione degli oppositori attraverso false accuse, alla criminalizzazione dei diritti costituzionali e alla soppressione della diversità. La complessa situazione, caratterizzata da populismi che pretendono di rappresentare la “volontà del popolo” in modo unitario, è ulteriormente aggravata dalla corruzione e dalla polarizzazione. Il che crea un panorama politico complesso e difficile per l’intera regione. In questo scenario, sembra che l'attenzione sia stata distolta dalla preoccupante realtà del Nicaragua, dove il governo di Daniel Ortega sta intensificando il suo attacco alla popolazione, imponendo un regime autoritario e repressivo. La riforma del sistema di sicurezza sociale nel 2018 ha scatenato una ribellione popolare che ha segnato una svolta nel modello politico ed economico del Paese sotto l'attuale esecutivo. Anni di malcontento accumulato, uniti alla repressione, hanno causato un'ondata di proteste dilagata nell’interno Paese. Studenti, lavoratori e cittadini si sono mobilitati pacificamente per chiedere riforme, giustizia e libertà. La risposta violenta delle autorità, con attacchi della polizia contro gli oppositori, ha intensificato la crisi e dimostrato l'esaurimento del modello Ortega. La rottura con il settore imprenditoriale in seguito alla riforma della sicurezza sociale, inoltre, ha segnato la fine della relativa stabilità del Nicaragua. L'economia del Paese, caratterizzata da un approccio corporativo che ha privatizzato la gestione degli affari pubblici ed escluso la maggioranza della popolazione, ha ignorato le richieste sociali e ha promosso attività di tipo estrattivo, le quali hanno esacerbato l'espropriazione territoriale con ripercussioni socio-ambientali. Ciò ha fatto precipitare il Paese in una profonda crisi istituzionale, democratica, ambientale, economica e socio-politica, con richieste popolari che rimangono senza risposta.
Tra queste, le istanze dei popoli indigeni del Nicaragua, che storicamente hanno affrontato la dominazione e l'espropriazione delle loro terre, risorse e cultura. Nonostante alcuni progressi nel riconoscimento dei loro diritti, essi continuano ad affrontare molteplici sfide. La lotta per difendere il loro territorio, il proprio stile di vita e la giustizia per le comunità è ostacolata da un ambiente di disuguaglianze strutturali, da uno Stato che riproduce meccanismi autoritari e dalla complicità del governo nell'espropriazione illegale delle loro terre ancestrali. Nonostante questo, i popoli indigeni mantengono viva la speranza di un futuro migliore e continuano a lottare per i loro diritti e per la costruzione di una società più giusta e inclusiva. Inoltre, durante la pandemia, si è intensificata la violenza contro le donne. La mancanza di misure adeguate ha fatto crescere i femminicidi. In risposta a questo flagello, sono nate reti di sostegno per affrontare il problema e chiedere il rispetto dei diritti, soprattutto attraverso i social media. Oggi il regime reprime qualsiasi espressione della società civile e diversi attori sociali nel tentativo di rimanere al potere. La persecuzione politica contro oppositori, leader religiosi, intellettuali e giornalisti continua senza sosta, condannandoli all'esilio o alla migrazione. Le organizzazioni non governative sono costrette a chiudere e a trasferire i beni allo Stato, in un clima sempre più opprimente di repressione e controllo statale. La rivolta popolare in Nicaragua rimane un episodio cruciale della sua storia, che chiede la trasformazione del Paese e ricorda la lotta per la giustizia e la libertà.
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