Chi sono i soldati? La domanda è tutt'altro che retorica. E la risposta tutt'altro che scontata. Il poeta Giuseppe Ungaretti nel 1918 era militare, schierato in Francia nel bosco di Le Courbon. E da quella esperienza scaturì una delle sue poesie più conosciute, “Soldati”. Una manciata di parole, fulminanti: “Si sta come / d'autunno / sugli alberi / le foglie”. Il significato è chiaro. Perché è giusto, e naturale, piangere e indignarsi per le stragi di civili, uomini donne e bambini, che ogni guerra porta con sé, ma non si pensa mai ai soldati, o ci si pensa molto meno. Eppure i soldati sono le prime vittime delle guerre, pedine sacrificabili, destinate a cadere come, appunto, le foglie dell'autunno, in nome di... Già, in nome di che cosa? Della vittoria? Di un disegno politico? Dell'esportazione della democrazia? Durante la seconda guerra mondiale l'Unione Sovietica perse dodici milioni di soldati, un'enormità, anche perché Stalin li spediva all'assalto a ondate successive fino a quando i tedeschi finivano le munizioni. E se qualcuno per scampare al massacro tentava di fare dietrofront, ci pensava la Nkvd, la polizia politica, a sparare ai suoi stessi soldati. E l'Armata Rossa, arrivata sulla Vistola, per passare il fiume aspettò per due mesi, su ordine del Cremlino, che i nazisti finissero di macellare i membri dell'Esercito nazionale polacco che avevano dato vita alla rivolta di Varsavia.
Non è che gli Alleati, sul fronte occidentale, siano stati da meno. Nel 1942, per il finto raid su Dieppe (“finto” perché il vero obiettivo non era la conquista del porto francese, ma infiltrare in città un piccolo commando con fini di spionaggio, obiettivo peraltro fallito), vennero scientemente “sacrificati” cinquemila soldati canadesi. E per preparare lo sbarco in Normandia il servizio segreto inglese mise su l'operazione Fortitude, per far credere ai tedeschi che lo sbarco sarebbe avvenuto a Calais e non in Normandia. Fortitude fu una cosa complessa; tra le altre cose prevedeva anche il lancio sulla Francia di agenti realmente all'oscuro della verità sul luogo dello sbarco, così che, se fossero caduti in mano al nemico, anche sotto tortura avrebbero indicato Calais, e non la Normandia. Pare anche che alcuni, o molti, di quei lanci col paracadute furono sbagliati appositamente. Nessuno sa quanti agenti e quanti membri della Resistenza francese siano stati sacrificati nel corso dell'operazione, anche perché di questo capitolo di Fortitude ancora oggi, nel Regno Unito, nessuno vuole parlare.
Perché la guerra è cinica, senza alcuna moralità. Disprezza a tal punto le vite da non curarsi nemmeno di quelle dei suoi stessi figli, tutti “carne da cannone”, secondo la definizione di François-René de Chateaubriand. Questa è la guerra, una «pazzia», come continua a ripetere Papa Francesco. Che di nuovo domenica scorsa, nell'anniversario dell'inizio della costruzione del santuario di Pompei, è tornato a invitare tutti a pregare per la pace: «Spiritualmente inginocchiato davanti alla Vergine, le affido l'ardente desiderio di pace di tante popolazioni che in varie parti del mondo soffrono l'insensata sciagura della guerra. Alla Vergine Santa presento in particolare le sofferenze e le lacrime del popolo ucraino. Di fronte alla pazzia della guerra, continuiamo, per favore, a pregare ogni giorno il Rosario per la pace. E preghiamo per i responsabili delle Nazioni, perché non perdano “il fiuto della gente”, che vuole la pace e sa bene che le armi non la portano, mai».
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