Fine gennaio. Siamo sul lato sinistro del fiume Adda, poco prima che raggiunga la dorsale del Po. Ho sempre sentito parlare dei canti della merla ma non dove poterli scovare. Finalmente mi ci portano e il paesino si chiama Crotta d'Adda. Sull'altra riva, che al buio intravedo, c'è il minuscolo lodigiano Maccastorna. La nostra sponda è alta e può facilmente ricordare, insieme alla consorella, lo sfondo della leonardesca Vergine delle rocce. Siamo usciti dalla competenza manzoniana, non ancora giunti in quella di Bacchelli. Sono canti in dialetto sul merlo bianco che diventa nero nel camino. Amori contrastati; coppie che fuggono sul ghiaccio del fiume che inghiottirà lei. Il bellissimo gelo è il protagonista principale. A ogni frase del coro che sta ai miei piedi, risponde un lamento canoro che viene dal buio della riva opposta. Qualcuno suona una fisarmonica. Le stelle hanno deciso di non partecipare. La prassi richiede un boccale di caldo vin brulé o una vitrea grappa trasparente. Poi è tempo di falò. Le fiamme litigano con lo scuro. Il caldo è affrontato per le corna dai gradi intorno allo zero. I falò di Cesare Pavese sono troppo lontani da qui. Sento di essermi rinvenuto interamente nella mia terra lombarda, come una radice di pioppo o una carpa che non si lamenta del freddo, laggiù.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: