Non si finisce di domandarsi come mai una scrittrice come Irène Némirovsky (1903-1942) notissima in Francia e conosciuta anche in Italia negli anni '20-'30 sia stata riscoperta solo nel 2004 quando riaffiorò l'inedito Suite Francese (Éditions Denoël), capolavoro sagacemente tradotto da Adelphi l'anno successivo. Da allora tutta Némirovsky viene ristampata in tutto il mondo, e il lettore rimane incantato dalla qualità pur disomogenea, ma sempre alta, dei molti romanzi, ormai tradotti in Italia non solo da Adelphi. Per esempio, La nemica gode di due simultanee traduzioni: io mi riferisco a quella di Monica Capuani (Elliot, pp. 160, euro 16), ma ce n'è anche una di Cinzia Bigliosi, edita da Astoria (pp. 136, euro 12,50).La nemica è il secondo romanzo della venticinquenne Némirovsky, uscito due anni dopo Il malinteso (1926) e un anno prima del folgorante David Golder che darà fama anche cinematografica alla scrittrice. La trama della Nemica è talmente autobiografica che l'autrice preferì pubblicarla con lo pseudonimo Pierre Nerey (Nerey è anagramma di Yrène). Francine è una donna bella e dissoluta, madre di Gabri e della piccola Michette, delle quali non si cura, presa com'è dalle sue avventure che il marito finge di non sapere. Michette, lasciata sola in casa, morirà in un incidente domestico di cui Gabri riterrà per sempre responsabile la madre, verso la quale nutre un odio crescente e sordo. La vendetta si svilupperà in due fasi: ormai adolescente e con la nuova agiatezza procurata dalle fortune borsistiche del padre, Gabri all'insaputa della madre frequenterà locali equivoci in cui incontrerà Génia Nikitof, un aristocratico russo in esilio a Parigi, che campa come Professional Dancer, il quale tenterà di sedurla e non esiterà a ricattarla. La seconda fase è sottrarre quasi preterintenzionalmente alla madre il giovane amante Charles, con finale drammatico.Il tutto in un groviglio di sentimenti e di passioni, perché Gabri si accorge con orrore di essere sulla stessa strada della madre, verso la quale finisce per provare compassione, o almeno una «stanca indulgenza». Gli adulterii, le seduzioni, avvengono in assenza di moralità perché «il senso del bene e del male, che in Gabri non era mai stato ben chiaro, si confondeva, si offuscava ogni giorno di più». Peraltro, con un'inconscia complicità tra madre e figlia, «perché le donne hanno per tutto quello che riguarda l'amore indulgenze segrete e infinite, che neanche loro si aspettano».La giovane età della scrittrice spiega l'impostazione feuilletonistica della Nemica (che, infatti, fu pubblicata a puntate in rivista), ma qui c'è già il trauma familiare che segnò Irène e che ritroveremo nei suoi libri più elaborati e più "letterari": per esempio, Francine si reincarnerà in Bella nel Vino della solitudine (1935), in Gladys di Jézabel (1936); e il padre di Gabri, tradito, tollerante e pur innamorato, tutto preso dagli affari, già somiglia a David Golder. Tuttavia, anche nella Nemica, la griffe della grande narratrice lascia il segno nei particolari: Adelina e Felicia, due entreneuses nel locale in cui balla Génia, sono «freddolose come uccelli esotici», e lo stesso Génia dice svagatamente di sé: «In realtà so fare soltanto tre cose: guidare l'automobile, andare a cavallo e ballare». E aggiunge: «Mio cugino, il principe Alcheresky, fa l'autista... Non guadagna male, ma guidare rovina terribilmente le mani». Com'è noto, Irène morirà nel 1942 ad Auschwitz, dove era stata deportata nonostante la conversione al cattolicesimo.
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