Siamo chi siamo, ma se ad alcuni di noi succede di diventare personaggi pubblici, entrando nel gran teatro della notorietà, l'io in qualche misura si sdoppia in un io privato e un io “di dominio pubblico”. Abbiamo lo stesso nome, ma le due identità non coincidono del tutto. È questa la ragione per cui si leggono con curiosità le biografie e le interviste “indiscrete”. Si sa, si sospetta che il personaggio famoso sia in parte una maschera e si viene magari a sapere che l'attore comico è in realtà un uomo disperato, il leader politico è un pittore della domenica, il feroce polemista è gentile con tutti, la bellissima diva si è sempre sentita brutta. Sappiamo che Marx non aveva il senso del denaro e evitava di cercarsi un lavoro (lo manteneva Engels). Che Rousseau, il grande pedagogo, aveva abbandonato qua e là diversi figli. Che il coraggiosissimo Orwell (pseudonimo di Eric Blair) era terrorizzato dai topi. Mario Baudino, sempre attratto dalle vicende stravaganti, in Lei non sa chi sono io, presentato su queste pagine la scorsa domenica, indaga sui vari motivi per cui ci si nasconde sotto uno o più pseudonimi (come Kierkegaard e Pessoa). I casi considerati sono moltissimi. Si va da Villon a Rabelais a Stendhal, da Lewis Carroll a Pablo Neruda. In Italia si conoscono con i loro pseudonimi Collodi, Svevo e Saba, Palazzeschi, Silone, Moravia, Curzio Malaparte, Sibilla Aleramo, Franco Fortini, nonché, ora, Elena Ferrante. Secondo Paul Valéry, sia poeta che accanito analista dell'io poetico, la scelta di usare pseudonimi non è dovuta tanto alla volontà di nascondersi quanto al desiderio di «non rinunciare a nessuna delle vite possibili». È questa una delle fantasie e delle tentazioni più forti, più nascoste, più rischiose e difficili da gestire. «L'io è un altro» disse Rimbaud. Un'identità che non contenga qualche alterità a se stessi, evasioni e differenze da se stessi, finisce per essere un'identità rigida, una gabbia che impoverisce il contatto con il mondo e impedisce cambiamenti, discontinuità, avventure, conversioni. Viverle non è facile. Ma se ne sente la mancanza, le si cerca e non si smette di immaginarle.
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