Una foto dalla guerra, sul web. In una cucina modesta una vecchia ucraina giace riversa sotto a un tavolo. Aveva cercato riparo, nel bombardamento. Non se ne vede il volto, solo i capelli grigi, e il cappotto - evidentemente in casa faceva molto freddo. Accanto alla donna c'è un cane bianco e nero, di quelli che una volta si chiamavano bastardi e adesso, “correttamente”, meticci. Il cane è lì, immobile da chissà quante ore o giorni, accanto alla sua padrona.
Sono i suoi occhi che mi colpiscono: non solo immensamente tristi, ma sbalorditi. La povera bestia sembra domandarsi che è successo - il boato atroce, le finestre in frantumi e poi lei, tanto amata, a terra, rantolante. E adesso non si alza più, non parla, non mi accarezza, non mi dà da mangiare, sembra dire lo sguardo dell'animale.
Un cane non può capire la morte. Ma capisce la fedeltà, e il restare, ostinato, vicino alla padrona. Un cane non capisce la morte, ma è capace di un umile amore: restare accanto. Gli uomini, invece, sono capaci di cose meravigliose e di cose terribili. I cani, di tutte queste cose non sanno niente.
Quell'animale nella cucina devastata, accanto alla padrona morta, se non ha un'anima ha un cuore. Guarda nell'obiettivo come in una domanda attonita: perché, tutto questo?
Già: perché? E quanto pesa la domanda del cane, e quanto fa male.
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