«Negli anni più vulnerabili della giovinezza, mio padre mi diede un consiglio che non mi è mai più uscito di mente. "Quando ti vien voglia di criticare qualcuno", dichiarò, "ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu". Non disse altro, ma eravamo sempre stati insolitamente comunicativi nonostante il nostro riserbo, e capii che voleva dire molto più di questo».
È l'inizio del Grande Gatsby di Francis Scott Fitzerald. La storia di un'amicizia infrangibile: quella fra Nick, il narratore, e Gatsby, che finirà ucciso per un tragico errore. A Nick resterà il compito di consegnare a noi la cenere del sogno infranto nello splendore delle ville costruite di fronte all'oceano, a Long Island.
Il grande Gatsby è il romanzo di un paradiso perduto. «Umano il cercarli», scrisse una volta Silvio D'Arzo, «umanissimo il crederci, ma di un triste ridicolo il trovarli davvero». La forza di Scott Fitzerald non consiste tanto nel descrivere il sogno di grandezza di Gatsby, quanto piuttosto quella di prenderne le distanze attraverso l'amico Nick, il quale nel finale del libro appare perfettamente consapevole che tutte le occasioni che avremo su questa terra saranno mancate: «Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato».
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: