La proposta di una “Camaldoli europea”, avanzata a luglio dal presidente della Cei Matteo Zuppi, è stata rilanciata in termini abbastanza generici a fine novembre, durante il convegno dei cattolici-democratici aderenti al Pd. Sarebbe però importante ragionarci sopra, senza indugi e anche al di fuori dell’ambito partitico, per dare concretezza a un’ipotesi che altrimenti rischia di restare sul terreno delle suggestioni evocative di glorie passate. E questo non può essere certo compito delle gerarchie cattoliche. Tocca ai cristiani, non solo del nostro Paese se vuole avere vero respiro continentale e non guardare solo al cortile di casa. Tanto più che, se prendesse corpo, cadrebbe nell’anno elettorale del nuovo Europarlamento.
L’impresa non è semplice, pensando al panorama culturale e politico europeo che a prima vista non sembra facilmente sensibile a simili iniziative. Forse sarà già arduo trovare, fuori dai nostri confini, personalità al corrente di che cosa abbia rappresentato per l’Italia il “Codice di Camaldoli”, dell’influenza da esso esercitata per la rinascita di un Paese deragliato dai binari democratici a causa del ventennio fascista e percorso da cima a fondo da una guerra devastante. Ma a questo è facile ovviare con adeguate sintesi informative. L’importante, come ricordava Zuppi nell’eremo toscano celebrando gli 80 anni del documento, è rimboccarsi le maniche: adesso, perché “il Codice è stato un’iniziativa coraggiosa di chi non aspettava gli eventi”.
Lasciando a chi ha competenze, spessore intellettuale e contatti adeguati il compito di creare un gruppo di lavoro per passare dalle parole ai fatti, si lascia qui, sommessamente, un’idea per la possibile sede del futuro appuntamento: Aquisgrana, luogo che per il suo passato lontano e vicino presenta molte caratteristiche idonee a candidarla. Tra l’altro, la sua collocazione geografica ne fa la città tedesca più occidentale, ai confini di Belgio e Olanda e a poche decine di chilometri da Lussemburgo e Francia: tutti Stati fondatori dell’Ue. Non a caso la tedesca Aachen gode pure di un’antica denominazione francese, Aix-la-Chapelle, che rimanda al tempo di Carlo Magno: nome che fa pensare subito al suo passato di antica capitale di un’Europa unita, quella del Sacro Romano Impero (per favore non si obietti che non fu una scelta “dal basso”: all’epoca non usava).
La città renana può poi vantarsi di aver ospitato più volte momenti storici di pacificazione tra nazioni e popoli in guerra: dal remoto trattato dell’812, che mise d’accordo Bisanzio e la nascente potenza dei Franchi, ai due trattati dell’età moderna che chiusero le due lunghe guerre di Devoluzione (1668) e di Successione austriaca (1748),
entrambe rigorosamente intra europee, fino al “congresso” del 1818 che portò allo sgombero dalla Francia delle truppe di occupazione straniere vincitrici su Napoleone. La vocazione europeista di Aquisgrana si confermò subito dopo la Seconda guerra mondiale, con l’istituzione del Premio internazionale Carlo Magno, conferito dal 1950 a personalità alle quali si riconoscono meriti speciali per l’integrazione e l’unità dell’Europa. Fra gli insigniti, figurano anche i papi Wojtyla e Bergoglio. Sul piano spirituale, infine, le “memorie carolingie” custodite dalla città possono essere una fonte d’ispirazione significativa, a partire dalla Cappella Palatina. In essa, tra l’altro, si conserva secondo antica tradizione un pezzetto del mantello che San Martino condivise con il povero. E poi dicono che le radici cristiane dell’Europa sono una forzatura!
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