sabato 20 gennaio 2007
Interroga la grazia non la scienza, il desiderio non l'intelletto, il sospiro della preghiera non la brama di leggere, lo sposo non il maestro, Dio non l'uomo, la caligine non la chiarezza. Interroga non la luce ma il fuoco che infiamma tutto l'essere e lo inabissa in Dio. È un noto studioso di letteratura latina cristiana a suggerirmi la bellissima finale dell'Itinerarium mentis in Deum di s. Bonaventura, il filosofo francescano vissuto nel XIII sec., amato anche da Dante che lo collocherà nel Paradiso. La scelta che il santo propone è quella di deporre le spoglie dell'arroganza intellettuale, della superbia dell'anima, della ricerca solo curiosa per approdare all'abbandono tra le braccia della grazia, all'intimità della preghiera e della contemplazione, alla fiamma dell'amore. Un itinerario spirituale che, pur non respingendo l'intelligenza, si distende sulla via dell'adesione, dell'intuizione, della purezza di spirito. È, quindi, la proposta di un percorso più radicale e meno "calcolato", più generoso e spontaneo che coinvolga tutta la persona e non una sola dimensione. C'è una frase che mi attira, anche perché risulta un po' provocatoria: «Interroga la caligine non la chiarezza». A prima vista, infatti, dovremmo protenderci verso la luce. Bonaventura, invece, ci ricorda che - quando si entra nel mistero di Dio - noi ci muoviamo a tentoni, in mezzo a una sorta di oscurità squarciata da bagliori. È necessario, quindi, riconoscere il nostro limite e l'accecamento che genera l'infinito divino, contro ogni orgogliosa illusione di possedere e "spiegare" Dio, come può accadere al fedele che modella la divinità a sua immagine e somiglianza. Credere è, perciò, un atto di umiltà che si manifesta proprio nel cercare attraverso la caligine, intuendo il balenare del volto di Dio.
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