Misericordia verso chi non ne ha mai dimostrata? Sì, soprattutto verso di lui. La triste vicenda che sta travolgendo Luca Morisi è una preziosa occasione per riflettere su come il dibattito pubblico sia degenerato in pubblico odio. Non è vero che i quotidiani si accaniscano su Morisi. Anzi. Saranno forse alcuni suoi avversari politici, e d'altronde alla tentazione di restituire fango a chi di fango ti aveva fatto bersaglio può essere irresistibile. Semmai i quotidiani concedono ampio spazio a un Salvini in palese imbarazzo: «“Attacco a 5 giorni dal voto”. Caso Morisi, Salvini non ci sta» (“Corriere”, 29/9). «Lo sfogo di Salvini. “Morisi? Vogliono attaccare la Lega”» (“Stampa”, 29/9). «La ferita di Salvini: “Morisi va aiutato, non vende morte”» (“Giornale”, 29/9). E il “Manifesto” (28/9) dedica alla vicenda un sobrio piede di pagina 7: «Indagato l'ex guru di Salvini».
I commentatori, anche quelli più caustici come Michele Serra (“Repubblica”, 28/9), si fermano: «Luca Morisi oggi ha bisogno esattamente delle cose che non ha mai concesso agli altri (...). Se un nemico di Salvini fosse incappato in una storia identica a quella che oggi ha atterrato Morisi, la Bestia lo avrebbe sbranato». Stefano Zurlo (“Giornale, 28/9, titolo: «Una misericordia gonfia di spine») è ben più d'un soccorritore: «Non si tratta di assolvere la macchina salviniana» ma di svelare che questa di certa sinistra è «l'ultima versione della gogna: quella che ricopre le pietre di soffice ipocrisia». Sarà. A dire il vero, i migliori interventi invitano alla riflessione e non suonano affatto ipocriti, come quello – bello davvero – di Antonio Polito sul “Corriere” (29/9, titolo: «Il male del moralismo che uccide la morale»): il metodo del moralismo «consiste nell'esibizione in pubblico dei vizi altrui, nell'uso politico della vergogna, nel tentativo di provocare non riprovazione, ma disgusto per l'avversario (...) uccidendo la pietà». E forse ha ragione Concita De Gregorio (“Repubblica”, 29/9) che, parafrasando Lapo Elkann, conclude: siamo «una società infelice che si nutre dei suoi stessi problemi, e si divora».
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