Assomiglia a quella degli Stati Uniti d'America dei quali la Liberia è un'improbabile emanazione. La bandiera della Liberia porta undici strisce orizzontali invece di tredici come quella statunitense. Vi si trova una sola stella Bianca nel riquadro blu in alto a sinistra, per significare un Paese libero dalla colonizzazione occidentale. La bandiera è appesa al nulla nell'aula di una classe elementare del quartiere periferico di Niamey chiamato Gamkallé. Attorno a lei un gruppo di migranti liberiani che sanno poco della sua storia. Sono in forzato ritorno da un progetto migratorio non realizzato, dirottato o semplicemente abbandonato per la forza degli avvenimenti nella Regione del Sahel. Alcuni hanno fuggito la guerra che ha imperversato per quindici anni nel loro Paese per trovarne altre nel Sudan, nel Ciad, in Libia, nella Costa d'Avorio e soprattutto in Algeria, terra
delle espulsioni forzate. Da una guerra all'altra.
Eppure tutto sembrava filare liscio come nelle favole o secondo il sogno di Martin Luther King di cui proprio oggi, 28 agosto, cade il cinquantottesimo anniversario. «I have a dream», gridava Luther King nel 1963 davanti al Lincol Memorial di Washington, alla fine di una manifestazione per i diritti civili consegnata alla storia come la Marcia per il lavoro e la libertà. Anche i migranti liberiani che festeggiano in terra nigerina, a Niamey, custodiscono il sogno che hanno piantato nella sabbia del Sahara e che si confonde con quello di tutto il Sahel. È lo stesso sogno di coloro che, dopo aver conosciuto la schiavitù nelle piantagioni nordamericane scelsero di varcare il mare attraversato in catene da padri e madri e di tornare in Africa, loro Terra Promessa. Sappiamo come sono poi andate le cose in Liberia. Gli ex schiavi hanno riprodotto sulle popolazioni autoctone, che a loro volta campavano anche della vendita degli schiavi, la stessa logica oppressiva e schiavista che avevano sofferto di là dall'Atlantico.
Dichiarata illegale la schiavitù negli Stati Uniti si trattava di "facilitare" il ritorno al mittente degli schiavi ormai liberi. E fu così che, malgrado le resistenze delle popolazioni locali che non volevano vendere la loro terra, in quei primi decenni del 1800, il sogno dei "liberiani" prese forma finché dopo una quarto di secolo di prove di forza coi nativi nel 1847 venne dichiarata l'indipendenza. Il sogno si trasformò in incubo per le popolazioni già residenti perché il potere venne assunto dai "colonizzatori neri" arrivati dalla libera America. La guerra civile che in due riprese, tra il 1989 e il 2003, ha insanguinato il Paese è, almeno in parte, conseguenza di questo sogno che ha fatto naufragio nella "Terra degli uomini liberi".
I migranti liberiani di Niamey cantano l'inno nazionale, condividono il riso e una salsa di loro gradimento sotto lo sguardo vigile della bandiera. A brillare rimane solitaria la stella che il sogno di Martin Luther King ha affidato a tutti gli uomini di pelle scura e a quelli di buona volontà.
Niamey, 28 agosto 2021
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