venerdì 5 gennaio 2024
Ho una foto di te a due anni. È una giornata di sole, in campagna. La luce è alta, quella luce chiara che sembra, di maggio, una promessa. Tu in un vestitino a fiori sembri una bambola, gli occhi grandi sotto le ciglia lunghissime. I boccoli neri sfuggono dalle forcine che cercano di trattenerli. Quanto bella eri. E tuo padre, ammaliato, ti levava in alto con le braccia, ti faceva saltare, e tu ridevi. La foto ti coglie in quell’istante di gioia perfetta con lui, fiero: che meravigliosa bambina. Accanto, la mamma e nostro fratello maggiore sorridono. Eravate felici, penso. Peccato, mi dico con rammarico, peccato che io, l’ultima figlia, in quella rara felice mattina ancora non c’ero. Ma hai avuto, anche tu che te ne sei andata così presto, almeno quell’istante di gioia pura, catturato dallo scatto di una Canon e rimasto lì, immobile, mentre il tempo scorreva. (Mi chiedevo, da piccola, come fanno le foto e i film a bloccare il tempo. Addirittura, mi dicevo, un film si può far scorrere all’indietro, e proiettare da capo: perché la vita no?). Non so cosa darei per essere con voi in quel giorno di maggio. Ti abbraccerei ora come si abbraccia una figlia piccola, tu che per me eri la sorella “grande”. Te ne sei andata a quattordici anni. E solo ora, vecchia quasi, capisco: non eri “grande”, eri una bambina. © riproduzione riservata
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