«I bambini mai nati sono bambini mai morti». Come dire cose, reperti anatomici o fisiologici. Questa sentenza macabra e disumana è di Ida Dominijanni, docente di «filosofia sociale» alla Sapienza (quanta amara ironia, a volte, nei nomi...) ed editorialista del Manifesto (Giovedì 5). È il suo commento all'apertura, a Roma, di uno spazio cimiteriale («Il Giardino degli Angeli») per la sepoltura soprattutto di coloro che sono stati abortiti per cause naturali. E meno male che li ha chiamati «bambini» e «figli mancati», perché a metà dell'articolo «quei feti» cessano perfino di essere «una possibilità di vita non realizzata». La filosofa sembra dimenticare che, se sono "bambini" e "figli", sono anche persone e che le persone, prima o poi, muoiono. No, per lei «l'equiparazione dei "non nati" ai defunti» è un'assurdità, perché «la creazione di uno spazio pubblico di materializzazione spettrale e macabra dei non-nati e non-morti in non-nati morti e sepolti» definisce «una categoria della cittadinanza: la categoria dei non-nati e tuttavia morti, compianti come morti e tuttavia non nati». Difficile capire questo contorto accanimento intellettuale e questo palese disprezzo filosofico per due parole (due realtà) – «bambino» e «figlio» – così ricche di sentimento, di empatia, di vissuto materno per le creature che non hanno fatto in tempo a venire alla luce o che hanno patito il rifiuto di quella vita che pure i loro genitori hanno potuto sperimentare. Per Dominijanni ciò che conta sembra essere soltanto la sorte «dei non-nati che non verranno sepolti, nel caso che le loro madri o i loro genitori li considerino effettivamente non-nati, dunque non-morti, dunque da ricordare o da dimenticare con un rito o un'elaborazione diversi dalla sepoltura». Resterà per loro (si riferisce agli aborti volontari) lo «spazio ancor più spettrale di una colpa raddoppiata, che incombe sulla comunità senza nemmeno la copertura di una lapide?». La sventura, dunque, equiparata alla colpa e da punire per giustificare le colpe altrui. È questa la filosofia sociale? Certamente è la «mente» della 194. Ma ecco l'atroce plateale commento, sul Fatto Quotidiano (venerdì 6), alla spiegazione del vicesindaco di Roma, Sveva Belviso: «Con la sepoltura verrà restituito valore a quello che, in mancanza di adeguati rituali, verrebbe considerato un rifiuto ospedaliero». La scrittrice Lidia Ravera: «Esattamente ciò che è». È rimasta ai suoi "Porci con le ali".
SCIMMIE SAPIENTI
Citando il miracolo di Fatima, Anacleto Verrecchia, filosofo 86enne e «magnifico esemplare di "ateo reazionario"» come – su Il Fatto, 30 dicembre – lo definisce lo storico Raffaele Liucci, afferma: «Strane queste Madonne: non compaiono mai a un filosofo o a uno scienziato, ma sempre a pastorelli o a scimuniti». Non avendo mai letto il Vangelo di Matteo (11,25): «Mi compiaccio con te, Padre, che hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai saggi e le hai rivelate ai semplici»), Liucci commentava: «Niente di meglio [del Verrecchia-pensiero] per disintossicarsi dallo spurgo di superstizione, incenso e santini in cui sta sprofondando la nostra epoca», che crede (chiedo scusa ai lettori) a «un barbuto signore invisibile e occhiuto, il cui figlio aveva il dono di passeggiare sulla acque e di moltiplicare le carpe». Due veri aristocratici del pensiero, come si deduce anche dalla conclusione: «Piaccia o non piaccia, siamo soltanto scimmie modificate». Per loro due nessun dubbio.
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