La memoria della Shoah passa anche dal cinema. Non soltanto dal cinema, anzi: alla fine degli anni Settanta fu una serie televisiva di produzione statunitense, Olocausto, a suscitare un dibattito molto articolato sulla responsabilità della società tedesca verso lo sterminio degli ebrei. Molto prima, nel 1955, in Notte e nebbia il regista francese Alain Resnais aveva fatto uscire dagli archivi le terribili riprese relative alla persecuzione razziale, avviando un processo di testimonianza attraverso le immagini destinato a culminare in Shoah, poderoso racconto cinematografico di quasi dieci ore diretto nel 1985 da Claude Lanzmann. Ma quello che è accaduto nel 1993, esattamente venticinque anni fa, con Schindler's List di Steven Spielberg fa storia a sé, se non altro per l'intreccio irripetibile fra elementi pubblici e privati, fra coscienza civile e meditazione personale.
Tratto dal libro di Thomas Keneally, Schindler's List - La lista di Schindler è l'opera di un regista straordinariamente prolifico, abituato fin dagli esordi a conquistare il pubblico con film dagli incassi sbalorditivi (Lo squalo, Incontri ravvicinati del terzo tipo, E.T. l'extraterrestre, Il colore viola, Jurassic Park…), ma in apparenza poco propenso a fare i conti con le proprie origini ebraiche. Se ci si limita alla prima parte della sua carriera, si ha addirittura l'impressione che in questa fase il nazismo sia recepito e rielaborato da Spielberg nella dimensione del tutto avventurosa e assai poco problematica che lo spettatore ritrova nelle avventure dell'archeologo Indiana Jones, il personaggio da lui ideato insieme con l'amico George Lucas.
Con Schindler's List tutto cambia, a partire dalla resa complessiva dell'immagine. Il rigoroso bianco e nero di cui Spielberg si serve per dare consistenza alla storia vera di Oskar Schindler - un imprenditore di pochi scrupoli che, sotto l'urto degli eventi, sfrutta la consuetudine con i gerarchi del Terzo Reich per mettere in salvo più di mille ebrei - è anzitutto un omaggio al grande cinema europeo del dopoguerra, neorealismo italiano compreso. Ma è anche la rielaborazione del lavoro sulle fonti già compiuto da Resnais e Lanzmann, rivisitato però mediante una serie di strazianti invenzioni poetiche. La più nota è senza dubbio quella della cosiddetta "bambina in rosso", unica figura colorata a muoversi nel grigiore delle esecuzioni sommarie e delle violenze arbitrarie che si susseguono durante il rastrellamento nazista nel Ghetto di Cracovia. È una scena che lo spettatore segue con gli occhi dello stesso Schindler (interpretato da Liam Neeson), meravigliandosi come lui per l'apparente incolumità di cui sembra godere quella piccola creatura protetta dall'incongruo cappottino rosso. Una speranza effimera, purtroppo, perché il corpo della bambina riemergerà più tardi, ancora avvolto nella sua stoffa scarlatta, in mezzo alle altre vittime del massacro.
Schindler's List è un film sulla perdita dell'innocenza e, più ancora, sulla necessità di riconquistare l'innocenza perduta. Mentre ricorre a qualsiasi strumento -
non esclusa la corruzione - pur di portare a termine la sua impresa di salvezza, il protagonista si rispecchia nella malvagità disperata dell'ufficiale delle SS Amon Goth (l'attore Ralph Fiennes), incapace di riconoscere il timido riaffiorare dell'umanità perfino dallo squallore del lager. Spielberg stesso non è passato indenne da questa prova. Girando Schindler's List ha avvertito sempre più forte il bisogno di riscoprire le ragioni del proprio ebraismo. Non si è accontentato di raccontare una storia, è tornato a viverla con un'immedesimazione che rende questo film un oggetto unico nella storia del cinema.
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