Quando mi chiedono perché io sia così tenacemente votato al Vincere nel calcio ho mille risposte da dare, anche di natura tecnica. Con l'aria che tira ne scelgo una dettata dal mestiere: chi vince appassiona e attrae appassionati. Fa vendere giornali e salire gli ascolti televisivi. Il marketing al potere. L'immenso capitale di tifosi della Juve si forma negli anni Trenta con quei cinque irripetibili scudetti. Si diceva irripetibili. Li vinse anche il Grande Torino che innamorò di sè l'Italia. Poi sparì, tuttora rimpianto. Ma non si poteva continuare a tifare per un sogno. Subentrarono altri cicli vittoriosi di Inter (cinque con dibattito), Milan e ancora della Juventus ch'è arrivata a vincerne sei consecutivi, di scudetti, e ora vuole il settimo. Ecco perché la torta della passione se la dividono tuttora in tre, concedendo spazi autonomi ai derby di Roma e Genova e al Napoli. E agli altri cosa resta? Non sto scrivendo un trattato, rispondo solo all'interrogativo che anche mercoledì sera mi son posto dopo una festa di gol (34) costruita sui permanenti dolori di Benevento, Spal, Verona, Crotone ai quali si sono aggiunti - in alcuni casi solo per la cronaca - squadre abitualmente in salute come Genoa, Sassuolo, Cagliari, Udinese, addirittura il Torino di Belotti (pardon, di Mihajlovic) e il solitamente quadratissimo Chievo. I qualunquisti salutano le goleade con inni e canti ma non si rendono conto che di questo passo il grande e difficile campionato italiano diventerà come la osannata Liga in cui vincono il Real e il Barça mentre gli altri club - piccola eccezione l'Atletico - sono solo invitati a partecipare al torneo degli inflazionati Palloni d'Oro Messi e Ronaldo. Il marketing minore è paralizzato ma è soprattutto demolito il principio tecnico-tattico. Capisco che a tutti piaccia imitare il Napoli di Mago Sarri ma è uno sfizio che non tutti si possono togliere e porterà tanti a battersi in zona salvezza. Solo una ben costruita difesa potrà salvarli, conservandogli la pur calante passione dei loro tifosi. Difendersi è un'arte, vincere spendendo milioni e accumulando dozzine di predatori esotici è incultura ispanica e qatariota. Uscire dal campo sconfitti ma a testa alta non è del calcio, è solo allegro masochismo.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: