mercoledì 11 luglio 2018
Appare per la prima volta in italiano il saggio di Karl Kraus, In questa grande epoca, a cura di Irene Fantappiè, nella collana “Letteratura universale Marsilio” (pagine 104, euro 12,00). Il testo fu letto dall'autore il 19 novembre 1914 al Wiener Konzerthaus e pubblicato un mese dopo sulla “Fackel” (La Fiaccola), rivista da lui fondata, diretta e, negli ultimi anni, interamente scritta da lui stesso.
Irene Fantappiè, ricercatrice alla Freie Universität di Berlino, ha fatto uno splendido lavoro. Non solo ha tradotto in bella lingua, ma ha contestualizzato il saggio nella temperie in cui fu scritto, rendendolo accessibile al lettore italiano di 104 anni dopo. Tradurre Karl Kraus è impresa da brividi: per i Detti e contraddetti si è impegnato (trionfalmente) Roberto Calasso in persona (Adelphi 1972), e l'aver messo l'originale a fronte è segno, da parte di Fantappiè, di orgogliosa umiltà: orgogliosa sicurezza della propria traduzione, e umile sfida a coloro che presumessero di saper fare meglio.
L'ossimoro è la figura e l'essenza di Karl Kraus (1874-1936). Ebreo e antisemita (nel 1911 volle il battesimo cattolico, ma nel 1923 si distaccò dalla Chiesa), fustigatore del giornalismo ma giornalista egli stesso (oltre che narratore, poeta, editore, attore e cantante), Kraus sfidò il mondo con la sola arma della satira, suscitando inimicizie, collezionando denunce e interventi censori.
In questa grande epoca è il compendio delle sue invettive contro il giornalismo, «acme della malsana commistione tra cultura e potere politico-economico». Scrive Fantappiè: «Lo scoppio della guerra, a suo parere, è direttamente legato all'impoverimento dell'immaginario collettivo causato dalla stampa. Le frasi fatte dei giornalisti distruggono la capacità di usare la lingua come strumento dell'immaginazione e quindi del pensiero. Standardizzando il modo in cui si parla nel mondo, i mezzi di comunicazione di massa precludono ai singoli individui un accesso vero alla complessità del reale. Questo ha permesso lo scatenarsi della guerra: l'umanità, ottusa dai refrain vuoti della stampa, non ha saputo immaginarla prima che accadesse; se l'avesse potuta immaginare, la guerra non sarebbe accaduta».
Inoltre, scrive Kraus, la stampa ha fomentato per anni i conflitti di nazionalità, descrivendo i popoli limitrofi come «un gruppo di pantere e lupi evasi da un giardino zoologico su cui si fosse abbattuto un incidente ferroviario»; «giorno dopo giorno [i giornali] insegnano la paura ai popoli finché essi, a ben ragione, non la sentono davvero». Non si può non riconoscere l'attualità profetica di queste parole, applicandole alla società massmediale di oggi.
Implacabile, Kraus denuncia la pervasività della pubblicità sui giornali, e irresistibilmente irride la vignetta della ditta Beer&Sohn, produttrice di tacchi di gomma, che mostra un neonato provvisto di tacchi di gomma sui piedini, con lo slogan: «Così bisognerebbe venire al mondo». Immediata la ritorsione della ditta.
Kraus non risparmia nessuno, neppure il suo collega e amico Hugo von Hofmannsthal che, con Dehmel e Hauptmann, era divenuto fervente bellicista: «Non c'era mai stata una tale impetuosa adesione alla banalità, e la rapidità con cui gli spiriti guida si sono sacrificati desta il sospetto che non avessero alcuno spirito da sacrificare, e che piuttosto abbiano agito spinti dall'eroica idea di andare a salvarsi nel luogo al momento più sicuro: nella frase fatta».
Quando Hitler prese il potere (1933), Kraus ammutolì: «Su Hitler non mi viene in mente niente». Nel febbraio 1936 uscì l'ultimo numero della “Fackel”. Poco dopo, Kraus fu investito da un ciclista: un incidente banale che tuttavia debilitò lo scrittore, già malato. Morirà il 12 giugno per un attacco cardiaco. Libri come In questa grande epoca sono un potente antidoto: vaccinano contro la stupidità e, se regolarmente assunti, possono avere un effetto immunizzante.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI