Se si legge velocemente, il 15° Rapporto Censis sulla comunicazione può anche deprimere un po'. Prendete un dato: in 10 anni in Italia la spesa per gli smartphone è più che triplicata (+221,6% per un valore di 23,7 miliardi di euro). Aggiungeteci che la lettura dei libri è calata (solo il 42% degli italiani ha letto almeno un libro) e anche quella dei giornali non sta molto bene (nonostante un +1,6% nell'ultimo anno siamo al 37,4% della popolazione) e la frittata è fatta. Avrete una fotografia "perfetta" per farvi scuotere la testa e lamentarvi del fatto che siamo ormai schiavi degli smartphone, con tutto ciò che ne segue. Secondo il rapporto Censis, infatti, siamo un popolo di navigatori (sul web) ma non di lettori. In dieci anni siamo passato dal 67% degli italiani che leggevano un giornale al 37,4 (nonostante un +1,8% nell'ultimo anno). Un dato solo parzialmente compensato dai lettori dei siti web dei giornali.
Nell'«epoca delle fake news» – secondo il Censis – la radio ottiene il primato di media più credibile (per il 69,7% degli italiani), grazie soprattutto agli over 65. La televisione è considerata affidabile dal 69,1% degli italiani e la stampa dal 64,3%. I siti web d'informazione al contrario non sono ritenuti affidabili dal 57,2% degli italiani, mentre i social dal 66,4%.
Il 78,4% degli italiani naviga su internet, il 55,2% dei giovani adora Instagram (il «social delle foto») e il 46,6% dei ragazzi guarda le web tv. Per il 47% dei cittadini l'uso dei social network in politica è utile e positivo, perché così le persone possono rivolgersi direttamente ai politici.
Fin qui, se devo essere sincero, non trovo grandi novità. Persino la crescente percentuale di persone (dall'11,1 al 17,9%) che guarda la tv attraverso piattaforme come Netflix, PrimeVideo e compagnia bella (con punte nei giovani del 29,1%) mi sembra assolutamente fisiologica.
Nemmeno quella che il Censis chiama «la fine dello «star system», a ben vedere, è così nuova. Sono anni che le star di un tempo (politici, giornalisti ed esperti compresi) sono stati calati dal piedistallo dove erano abituati a stare e si trovano a essere «sfidati» sui social da persone comuni e superati in popolarità e a volte anche in credibilità dalle nuove «star digitali» nate dal nulla. Per il 49,5% degli italiani chiunque può diventare famoso (tra i giovani la percentuale sale al 56,1%). Il 30,2% ritiene che per essere una celebrità occorra essere famosi sui social (negli under 30 ne è convinto il 42,4%) ma solo il 9,9% degli italiani dice di ispirarsi ai divi. Perché, come sottolinea il Rapporto Censis, «oggi tutti siamo divi. Anzi, nessuno lo è più».
Il capitolo più interessante del Rapporto mi sembra quello dedicato «a nuovi riti, tic e tabù della digital life». Si scopre che il 59,4% di chi possiede uno smartphone preferisce mandare messaggi invece che telefonare. Il 54,7% fa parte di gruppi WhatsApp, il 50,9% appena si sveglia (o appena prima di dormire) guarda le notifiche del cellulare, mentre il 37,9% degli italiani quando non ricorda una data, un nome o un evento li cerca sul web e ciò che trova lo ritiene subito vero. Uno su tre, invece che digitare sulla tastiera, invia messaggi vocali. E il 25,8% non esce di casa senza il caricabatterie.
Prima di lamentarci per l'ennesima volta dello strapotere dello smartphone, credo che dovremmo chiederci: quanti oggetti ha sostituito? Ve lo dico io: almeno 30. Dai più comuni (torcia, bussola, metro, telefono, cronometro, orologio, sveglia, bloc notes) a quelli più evoluti (intere librerie, intere collezioni di dischi, televisione, cinepresa, macchina fotografica, radio, walkman) fino a ciò che prima non c'era come social network, servizi di messaggistica, posta elettronica, videotelefonate e navigazione web. Per non parlare delle centinaia di cose che possiamo fare con le app. Per questo, chiudo con una piccola provocazione. La prossima volta che leggete un rapporto simile, invece che deprimervi provate a chiedervi: «perché dovremmo fare a meno dello smartphone?».
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: