«Colpisce e fa impressione in modo positivo vedere la grande chiesa della riconciliazione colma di 2mila giovani o più, in totale silenzio per la durata di ben 10 minuti. Nessun brusio, niente chiacchiere, nessuna distrazione (solo qualche colpo di tosse...) ma tutti assorti, in meditazione, in preghiera, o nei propri pensieri». Sono le parole con le quali Marco Notari, prete (e blogger) di Lugano, racconta sul blog “VinoNuovo” (bit.ly/3LsFfd9) il suo recente ritorno «da sacerdote» a Taizé, la comunità ecumenica fondata durante la Seconda guerra mondiale da frère Roger Schutz (bit.ly/42ivJ2S). Nel suo articolo don Notari si ritrova a misurare, rispetto alla realtà conosciuta durante le sue precedenti visite, tanto la Taizé di oggi quanto i giovani che non smettono di frequentarla, avendo potuto anche ascoltare e conversare con alcuni di essi, «ragazzi e ragazze con un enorme bisogno di raccontarsi e parlare». Come spesso accade navigando in Rete, queste parole si sono sovrapposte, nella mia percezione, a quelle pronunciate il 30 aprile da papa Francesco nel corso dell’ultimo dei suoi appuntamenti ungheresi, quello con il mondo universitario e della cultura.
Come riportato anche dall’inviato di “Avvenire” Gianni Cardinale (bit.ly/3AJ03Ii), il Papa a un certo punto del suo discorso ha esortato a guardare «all’erosione dei legami comunitari», alla solitudine e alla paura, che «da condizioni esistenziali paiono tramutarsi in condizioni sociali», proseguendo allarmato: «Quanti individui isolati, molto “social” e poco sociali, ricorrono, come in un circolo vizioso, alle consolazioni della tecnica come a riempitivi del vuoto che avvertono, correndo in modo ancora più frenetico mentre, succubi di un capitalismo selvaggio, sentono come più dolorose le proprie debolezze, in una società dove la velocità esteriore va di pari passo con la fragilità interiore. Questo è il dramma». Ecco: da un lato alcune delle parole più severe mai pronunciate da Francesco – considerando anche l’istituzionalità della sede – sul rapporto tra la digitalizzazione delle nostre esistenze e l’isolamento sociale, e dall’altro la forza di un’esperienza di preghiera che, attraverso principalmente il silenzio «avvolgente e coinvolgente» e il canto, promette, al ritorno di ciascuno nel proprio quotidiano, di trasformarsi in «ricerca e azione».
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: