«La grandezza di un uomo risiede per noi nel fatto che egli porti il suo destino come Atlante portava sulle spalle la volta celeste», scriveva Milan Kundera. Non c'è nulla di più appropriato alla condizione attuale di Mario Draghi. La conclusione ancora interlocutoria del vertice che avrebbe dovuto annunciare le urgenti risposte dell'Unione Europea alla drammatica crisi da Covid–19 ha reso ancora più importante la presa di posizione di Draghi nel commento scritto per il “Financial Times”: non solo una “lezione”, articolata e innovativa, sulla strategia necessaria per evitare che «una recessione si trasformi in una prolungata depressione», ma anche una “profezia” (letta a posteriori) sull'incapacità dell'Europa unita di prendere decisioni efficaci in tempi rapidi. Così Draghi ha corrisposto al suo destino di “Mister Wolf” per la gestione di complessità finanziarie straordinarie. Andando oltre la strategia per affrontare la crisi, è interessante illuminare i tre pilastri teorici del pensiero di Draghi (ignorati dal dibattito pubblico italiano), che si inserisce nel solco di una grande tradizione che va da Guido Carli a Federico Caffè, quest'ultimo non a caso suo “maestro”. Il primo milestone è il rifiuto dello statalismo di ritorno: la visione di Draghi si muove controcorrente rispetto al sentiment più diffuso oggi nel dibattito pubblico occidentale. Secondo Super–Mario serve subito una scossa di liquidità – mediante un significativo aumento dei debiti pubblici e una mobilitazione dei sistemi finanziari – per supportare, difendere, alimentare il mercato. Non certo per espandere a dismisura l'intervento pubblico nelle attività economiche, sulla base d'un modello che ha già dimostrato nella storia la sua scarsa efficienza. Il secondo pilastro del Draghi–pensiero è la difesa strenua della Produzione e del Lavoro. L'azione dei Governi non può limitarsi alla pura assistenza, ma deve «proteggere la gente dalla perdita del lavoro» per scongiurare il rischio che il day after sia caratterizzato da «una permanente occupazione più bassa». Nella visione “umanistica” di Draghi, coerente con la dottrina sociale della Chiesa, economia e finanza non possono essere un fine, ma sono un mezzo al servizio della qualità della vita dell'uomo che si fonda sul diritto–dovere ad un'occupazione dignitosa. Il terzo pilastro della sua riflessione, il più “politico”, è la necessità per la classe dirigente di un «cambio di mentalità», come in tempi di guerra, per adottare decisioni coraggiose e rapide. Qui Draghi, di fatto, mette sotto accusa sia l'Unione Europea che parte dei Governi nazionali, incapaci (finora) di reazioni di portata quantitativa e qualitativa paragonabile a quelle degli Stati Uniti. Senza che ciò implichi in alcun modo una sua immediata assunzione di responsabilità istituzionali in Italia. La verità ha pochi amici. L'ex presidente della Bce lo sa bene, e ha il coraggio di non farsene condizionare.
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