L'Europa non decide e lascia spazio a chi, invece, ha deciso da tempo di ingannare i consumatori. È l'idea che si è subito diffusa tra gli allevatori e più in generale nel sistema agroalimentare, alla notizia della non scelta compiuta dal Parlamento Ue tra due emendamenti diversi che vietano oppure consentono l'uso di nomi di alimenti a base di carne per prodotti di origine vegetale. Hanno vinto, ha tuonato immediatamente Coldiretti, le lobbies «delle multinazionali che investono sulla carne finta, vegetale o creata in laboratorio».
Problema serio, quello degli hamburger vegetali oppure delle bistecche che in realtà hanno gli ingredienti delle focacce. Questione che tocca i consumatori e i produttori - entrambi danneggiati da questa situazione -, e che più in generale inficia quella trasparenza dei mercati spesso invocata come soluzione a tutti i mali. I primi, i consumatori, corrono il rischio di scambiare un polpettone vegetale per una salsiccia e, soprattutto, rischiano di cibarsi di qualcosa che in alcuni casi viene in buona parte sintetizzato in laboratorio (con tutte le possibili conseguenze anche dal punto di vista igienico-sanitario). I secondi, i produttori, devono fare i conti con una concorrenza che usa nomi e immagini in modo scorretto e fuorviante. Il mercato, infine, si ritrova inquinato da una confusione terminologica senza pari. Detto in altri termini: oggi, come ieri, è possibile trovare "bistecche" fatte di ceci, piselli e lenticchie, quando non di elementi di sintesi, quasi senza traccia di carne.
La non scelta dei parlamentari europei ha destato le proteste di tutti (da Coldiretti a Cia-Agricoltori italiani a Confagricoltura, da Assica ad Assocarni, oltre che del sistema della cooperazione rappresentato da Alleanza delle cooperative agroalimentari e, infine, delle associazioni dei consumatori). Servono, a questo punto, regole almeno nazionali per fare chiarezza sui nomi che è possibile dare agli alimenti. Cosa che, d'altra parte, aveva già sancito una sentenza della Corte di giustizia europea.
In gioco, in tutti i casi, sono da una parte le corrette condizioni igienico-sanitarie dell'alimentazione e, dall'altra, i risultati economici di un comparto, quello della zootecnia e della trasformazione alimentare, che vale decine e decine di migliaia di posti di lavoro e milioni di euro. Che il Parlamento europeo non decida su un tema del genere è già cosa grave, che non si faccia nulla per porvi rimedio lo è ancora di più.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: