Era un’Europa “bambina” – aveva da poco compiuto cinque anni di vita – quella che, l’11 ottobre di sessant’anni fa, assisteva all’evento straordinario di cui oggi facciamo memoria: l’apertura del Concilio Vaticano II. Un avvenimento che i sei Paesi fondatori, i soli a quel tempo coinvolti nel processo unitario appena avviato con la firma dei Trattati di Roma, seguirono con grande partecipazione. Nel 1962 Italia, Francia, Belgio e Lussemburgo potevano definirsi ancora nazioni “cattoliche”, ma anche le forti presenze luterane in Germania e Olanda non attenuavano l’attenzione per quell’evento ecclesiale. Se non altro per la caratterizzazione “ecumenica” delle assise e per l’inedita partecipazione ai lavori di numerosi “fratelli separati” in veste di osservatori. Molto nutrita numericamente era poi la presenza di vescovi di quella che allora si chiamava “Comunità economica europea”: più o meno un quarto del plenum che si riuniva nella Basilica di San Pietro. E anche questo contribuisce a spiegare l’interesse dell’opinione pubblica del tempo.
A distanza di 60 anni, l’Europa “adulta” dei Ventisette sembra avere del tutto dimenticato quella data. È vero, oggi la Chiesa ha perso seguaci e potere, ma non la voce e la statura morale. Con la guerra in corso in Ucraina, e con i timori crescenti di un’escalation nucleare, dunque, gli europei che contano farebbero bene a ricordare che, appena cinque giorni dopo, il 16 ottobre ‘62, si aprì fra Stati Uniti e Unione sovietica la drammatica crisi dei missili a Cuba, che per due settimane mise il mondo intero davanti allo scenario di uno scontro atomico imminente. Gli storici hanno dimostrato che Papa Giovanni XXIII giocò un ruolo tutt’altro che secondario nel convincere Kennedy e Kruscev a fermarsi. «Noi chiediamo a tutti i governi di non rimanere sordi a questo grido dell’umanità e di fare tutto quello che è nel loro potere per salvare la pace», scrisse il futuro Santo al leader del Cremlino. Il quale, appena due giorni dopo, spedì al presidente Usa la famosa lettera con la proposta di compromesso che dissipò l’incubo.
Oggi al posto di Roncalli c’è Papa Francesco, il quale ormai non fa passare un giorno senza lanciare appelli accorati e umili suppliche ai belligeranti. Ma si rivolge anche a tutti i governanti del mondo, perché aprano o incoraggino una prospettiva di dialogo, per porre fine alle stragi e alle devastazioni nell’Europa orientale. Sembra incredibile, ma non c’è finora stato un solo leader dell’Unione, non un solo “eurocrate” di Bruxelles, che abbia fatto seriamente eco alla voce del Romano Pontefice, che si sia speso con gesti concreti. Non uno che abbia voluto “rischiare per la pace”.
Un rischio, certo, se è vero che, un anno dopo Cuba, Kennedy fu ucciso da un complotto (al quale il complesso militare-industriale americano non fu estraneo) e che dopo un altro anno anche Kruscev perse il potere. La storia però, e soprattutto la causa della pace fra i popoli, si ricorderà sempre di loro. Di quelli di oggi, chissà?
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