La faccenda riguarda l'informazione religiosa anglofona: si tratta di due frasi, attribuite a Papa Francesco, dal contenuto indubitabilmente sincretista, che sono circolate sul web nel corso del 2015, e dell'iniziativa dell'Associated Press, che – riferisce tra altri il sito Crux ( tinyurl.com/zxq9kwu ) – il 3 gennaio ha interpellato in proposito il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Greg Burke, ottenendo per esse una netta smentita: sono «inventate».
Anche immaginando varianti dovute alle traduzioni, non ricordo né risulta dalla memoria di Google che queste espressioni siano circolate in Italia. Ciò non toglie merito a Marco Tosatti, che sul suo nuovo blog Stilum curiae, ex San Pietro e dintorni, riprende la notizia ( tinyurl.com/h9qpn3w ): anche da noi è montata la discussione sulle "bufale" e la "post-verità", e l'informazione religiosa non può e non deve chiamarsene fuori. Meno condivisibile, ai miei occhi, l'idea di cui il suo titolo è sintesi: «Il Papa non l'ha detto. Avrebbe potuto dirlo? Ci saremmo scandalizzati?», dove si crea un corto circuito tra la popolarità di queste frasi, il fatto che fossero «plausibili e credibili» e lo stile comunicativo bergogliano. Trascurando, da un lato, che la verosimiglianza è requisito costitutivo di tutti questi "falsi"; dall'altro, che essa non era poi così alta: qualunque informatore religioso avrebbe saputo smascherarli.
Il punto mi pare invece che le bufale, come scrive sul sito dell'Ucsi Adriano Fabris ( tinyurl.com/z7msc5b ), sono «il risultato di una sempre maggiore difficoltà a verificare le notizie, dovuta da una parte all'overdose di informazioni e, dall'altra, alla scarsa competenza di chi le riceve. L'unico rimedio possibile, restando problematica una verifica costante ed essendo spesso utile un regime di disinformazione, è nella qualità etica degli operatori della comunicazione». È questa che più agevolmente possiamo misurare, conclude Fabris, ed è anche questo che chiunque sta in Rete deve imparare a fare.
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