Milano, gennaio – Un giorno d'inverno, una mattina incolore. Nel grande piazzale del Cimitero Monumentale pochissimi visitatori. Soltanto i passi lenti e abitudinari di qualche vecchio, che viene qui tutti i giorni. Appena oltre il Famedio si allineano le tombe dei grandi borghesi, dei ricchi, di chi ha costruito Milano. Orgogliose cappelle di famiglia sormontate da rupi, piramidi, altari di marmo; e sotto, incisi, nomi che evocano dinastie industriali, e patrimoni tramandati da generazioni. Nel silenzio di questa mattina ti pare perfino di sentire echi di turbine, telai, altoforni, della industria ottocentesca che fece grande Milano. Ma, tra i viali, nessuno; soltanto la ghiaia che scricchiola sotto ai tuoi passi.Giacciono qui cavalieri e commendatori, senatori esimi, professori illustrissimi. Nessuno pare ricordarsi di loro. Te li immagini a braccetto delle mogli ingioiellate e eleganti, in una remota prima alla Scala, gli sguardi soddisfatti di chi è arrivato in cima. Ora, soltanto un merlo volteggia sulle loro tombe, e fischietta; poi vola via e resta solo questo silenzio di pietra. Qui, dove anche l'acqua nelle piccole fontane fa rumore, col suo vivo gocciolare. Oltre, nei viali più lontani dall'ingresso, l'edera abbraccia le lapidi, le cinge d'assedio, lambendo le lettere fino a coprirle. Imperituro, eterno ricordo si prometteva, a generali e granduchi; e invece niente, l'oblio affonda ogni cosa. Da fuori, il fruscio di un tram che fila via, indifferente. È come se queste pietre fossero le quinte di un collettivo inganno, come se testimoniassero un'illusione: che resti a lungo, quaggiù, qualcosa di noi. Come se gli illustrissimi, gli esimi e i cavalieri avessero creduto che, con quei titoli altisonanti, sarebbe stata più rispettosa la morte, con loro. E invece, affatto. Ci si ricorda con amore nei secoli dei santi, o dei poeti. Tutti quegli altri appellativi lucenti come medaglie sono livellati dal nulla, nella città di marmo.Farebbe bene ogni tanto, ti dici, un giro qua dentro: per regolare sguardo, e prospettiva. Per riconoscere che la sola speranza fondata sta in quella croce infinitamente ripetuta tra i viali, ma spesso più piccola dei monumenti funebri, come irrilevante. Solo se Cristo è risorto ha senso sperare. Altrimenti ogni cosa verrà cancellata dal tempo, e dall'edera paziente. Questo racconta la città dei morti, a chi ci si avventura. Perciò è così deserta? Fuori, in metrò, parliamo al cellulare e affannati andiamo tutti di corsa. Non c'è mai tempo, per pensare all'essenziale.
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