Non esiste il genere televisivo delle rievocazioni storiche, anche perché non sono molte quelle trasmesse dalle reti nazionali. La maggior parte trova spazio sulle tv locali in conseguenza di un interesse tuttalpiù regionale. L'unica vera eccezione è rappresentata dal Palio di Siena, che va in onda, tranne rare sospensioni, dal 2 luglio 1954, anno di nascita della televisione in Italia. C'è però da chiedersi, e ce lo siamo chiesti anche venerdì scorso vedendo la diretta di Rai 2, quanto di storico ci sia nella manifestazione senese e quanto la televisione riesca a renderne ragione, ma soprattutto quanto c'entri il Palio con il racconto del passato in cui la tv è maestra. Qualche anno fa l'Università cattolica dedicò un convegno al “Fare storia con la televisione” nel quale emerse il ruolo del piccolo schermo nel costruire una memoria condivisa capace di definire l'identità di un popolo. Ma quello di Siena è un popolo a sé, geloso delle sue tradizioni. Un popolo a cui non interessa di essere capito all'esterno e che avverte la tv come un corpo estraneo. Basti pensare che le immagini del Palio vengono affidate a un service e a una regia scelti dal Comune di Siena con il Magistrato delle Contrade e il Consorzio per la tutela del Palio. Insomma, la Rai non ci mette nemmeno le telecamere, ci mette solo il telecronista (dal 2015 la giornalista senese Annalisa Bruchi), tutorato da uno speaker che fa capo al Consorzio (dallo scorso anno lo storico Giovanni Mazzini). Non è solo un modo per garantire l'ortodossia della telecronaca, è anche un modo per difendere la propria storia, che il più delle volte appare incomprensibile al telespettatore non senese. A quel punto ad attrarre non è il passato, bensì il presente con una carriera dove succede di tutto, con dieci folli dalle casacche colorate che si lanciano a rotta di collo sul tufo di Piazza del Campo cavalcando a pelo altrettanti barberi che alla fine, come successo il 16 agosto, possono aggiudicarsi il Palio senza il fantino in groppa. Tutto questo è televisivo. Per il resto, come diceva il grande poeta Mario Luzi, «il Palio è il Palio. Nessuna interpretazione sociologica, storica, antropologica, potrebbe spiegarlo». Non ci riesce neppure la tv.
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