«È un'isola piccola e cupa, Itaca. Piccoli uomini, pastori e contadini; niente di eroico e terribile, niente di grande, niente come il palazzo grondante di sangue di Agamennone a Micene, popolato di fantasmi, o quello di Menelao a Sparta, illuminato dalla bellezza abbacinante di Elena. Niente maschere d'oro sul volto dei re morti. E quando il re morirà, niente giochi funebri a Itaca, come quelli che si celebrano per i grandi, per Achille o per Patroclo». In un volume sull'eroe da cui nasce la letteratura d'Occidente, Giulio Guidorizzi, importante grecista ma soprattutto grande saggista, autore di libri indispensabili per la conoscenza della nostra anima, inizia il racconto di Ulisse partendo da realtà evidenti leggendo il poema di Omero, ma mai prima d'ora rilevate e sottolineate con tale evidenza: Ulisse è re di un piccolo regno, un'isola povera e arida popolata da gente rozza e ignorante. La flotta degli Achei capitanata da Agamennone, salpata per la distruzione di Troia, schiera sovrani ricchi, potenti, che lasciano a terra regge fastose. L'eroe che produrrà la vittoria è povero. Situazione primigenia, assoluta: una piccola isola, una moglie bella e innamorata, talento, coraggio straordinari, intelligenza, capacitò di sogno. Nient'altro, non l'armatura sfolgorante di Agamennone: Ulisse è un re povero.
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