«Povero mondo, Ale. Se non ci si emoziona neanche per il magico apparire della superluna, allora vuol dire che le nuove generazioni sono davvero messe male. Ieri ascoltavo in tv un gruppo di ragazzi, poco più che adolescenti. “La superche?” “Ah, sì quella. Ma quando ne hai vista una le hai viste tutte”. Commenti sciatti. Disinteressati. Il fatto è che una gran parte dei nativi digitali, eternamente connessi e morbosamente dipendenti dal web, sembra vivere all'insaputa di tutto quel che gli accade intorno. Salvo poi raccattarlo distrattamente tra le maglie della Rete nella quale praticamente vive e bivacca quasi 24 ore al giorno. Anestetizzando reazioni, emozioni e a volte persino i sentimenti. La tecnologia dovrebbe migliorare la tua vita, non diventare la tua vita è il mantra di Harvey B. Mackay, guru americano del business world. E ha ragione da vendere. Le “app”, i “clic”, i “like” hanno preso il posto del batticuore e della pelle d'oca. Quando eravamo ragazzi noi, bastava così poco per farci emozionare. Certo non perché non avessimo granché a disposizione». Dai, Sergio, raccontami una di quelle belle emozioni...
«Ho un ricordo indimenticabile. Quasi infantile. Una notte a Rimini, con il gruppo dei miei amici di infanzia, decidemmo di darci appuntamento sotto il muro della ferrovia. Anche allora c'era la luna. Non era super. Ma era piena. E imbiancava le strade che correvano al mare. Quando fummo sul ponte di ferro, guardammo per un istante i fasci lucenti delle rotaie: loro come noi, erano in attesa del treno che andava nelle Indie. Un miraggio. Ne avevamo sentito parlare per anni: attraversava il paese a notte alta, ogni quindici giorni. Pensa Ale, mi ricordo ancora l'ora esatta: alle 2 e 47. Si fermava un paio di minuti per rifornirsi d'acqua alle maniche nere che aspettavano la testa del convoglio dove finivano le tettoie e tornavano a luccicare i binari. Venti vagoni color verde sottobosco con lo stemma dorato al centro e due parole "sleeping car". Correvano lungo l'Adriatico come un mondo fatto di ombre. Solo esili fumi alitati dalle bocchette sulle vetture rivelavano il tepore di quel viaggio che pareva inanimato. Finalmente lo vedemmo arrivare».
E cosa provasti in quell'attimo? «Un'immagine surreale. Fiabesca. Sembrava un enorme bruco. Ci scivolò davanti e quando si fermò, aggiustandosi con i mantici che univano le carrozze, pareva quasi che respirasse. Noi eravamo lì. Tutti con il naso in aria. Allocchiti di assistere a un tale prodigio a lungo solo immaginato. E perciò stesso tanto desiderato. D'un tratto si alzò la tenda di un finestrino e un riverbero di luci colorate mostrò i contorni soffici di un uomo e una donna. Fumavano e portavano un bicchiere alla bocca con gesti morbidi e complici. Venti secondi. Pareva la scena di un film. Poi d'un tratto scomparvero. Ingoiati dalla notte. Tornammo a casa felici e inebriati d'aver visto con i nostri occhi un simile prodigio. Più avanti negli anni, ne avevo circa trenta, una mattina presto andai a mettermi dove inizia la pista di Fiumicino e rimasi un'ora a guardare la pancia degli aeroplani così vicina che potevo quasi contare le viti. Anche quella un'emozione da togliere il fiato. Proprio come la magica eterna superluna».
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