Tra gli «effetti che scaturiscono dall'emergenza sanitaria dovuta al Covid-19» ce n'è uno piccolo, se rapportato ai tanti che toccano più da vicino la nostra vita materiale e spirituale, ma di indubbia portata simbolica: la sospensione dell'edizione cartacea de “L'Osservatore Romano” (salvo una decina di copie, riservate al Papa e agli archivi interni), comunicata negli scorsi giorni e divenuta operativa ieri. Su un piano non storico ma molto personale, quel simbolo è associato al tavolone della redazione de “Il Regno”, il periodico in cui ho trascorso 26 anni di lavoro giornalistico, dove si ammucchiavano ogni giorno molte riviste e tre, fondamentali, quotidiani “stranieri” (quelli italiani ci arrivavano alla sera, dopo aver sostato nella sala di lettura della Comunità religiosa): la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, “Le Monde” e, appunto, “L'Osservatore Romano”.
A me quest'ultimo toccava di diritto, perché vedessi se c'era qualche documento del magistero da riprendere; ma quando arrivavo a sfogliarlo recava due segni a penna sulla prima pagina, a dire che almeno altri due redattori l'avevano già letto e schedato. Comunicando ai lettori sul giornale stesso – tramite il sito ( bit.ly/2QNrWIS ) e in prima pagina dell'edizione digitale – questa sospensione, il direttore Andrea Monda ha peraltro insistito nel sottolineare che il lavoro giornalistico non verrà per nulla meno, stante la «missione» del quotidiano, e anzi ha detto di confidare che l'attuale difficoltà «possa e debba trasformarsi nell'occasione per stringere ancora di più il rapporto che lega il “giornale del Papa” ai suoi lettori». Non si può che unirsi al suo auspicio. Del resto, dal punto di vista di questa rubrica, la notizia è buona: da ieri, fra le “giovani” testate d'ispirazione cristiana che vivono solo di vita digitale, rientra – temporaneamente – anche il “vecchio” e nobile “Osservatore Romano”.
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